Larga parte degli autonomi, partite Iva e commercianti non hanno ricevuto i ristori dell'anno scorso e non si sa ancora nulla per quelli dell'anno in corso. In attesa del lock-down i cittadini chiedono vaccini e sostegni economici.
Roma – E’ trascorso già un anno dal Dpcm emesso da Conte che tutti ricorderemo con il luogo comune “Io resto a casa”. Da quel giorno scattava il primo lock-down per l’Italia mentre le sirene rompevano il silenzio della notte.
Adesso tocca a Draghi predisporre un sofferto giro di vite che lascia prevedere altre spiacevoli restrizioni anche a livello nazionale, oltre che locale. Il premier dice bene che in fondo al tunnel si intravede una luce ma se con i vaccini si andrà così a rilento, quella luce potrebbe spegnersi.
I lock-down non bastano e non possiamo più permetterceli, almeno quelli sul modello dell’anno scorso. Checché ne dicano i virologi, in larghissima parte dipendenti pubblici dunque in grado di sfamare le loro famiglie con la certezza di uno stipendio a fine mese.
Lo vadano a dire ai ristoratori che ieri mattina, a Milano, hanno protestato pacificamente davanti alla sede della Regione Lombardia chiedendo ancora i ristori dell’anno scorso che non sono arrivati. Che fine hanno fatto i soldi per autonomi e partite Iva?
Si parla di registrazione in nuove piattaforme telematiche ma i lavoratori ripetono la medesima domanda estendendo il quesito anche al nuovo presidente del Consiglio a cui chiedono una risposta: che fine hanno fatto i ristori del 2020?
Sul fronte del piano vaccinale ancora soltanto propaganda: le richieste all’AstraZeneca che non ha onorato il contratto, il treno-ospedale per le terapie intensive, lo Sputnik che verrà imbottigliato o prodotto in Italia come se fosse un vino, la realizzazione di aree di somministrazione dei sieri e altre baggianate che servono a riempire di parole gli italiani che da un anno invocano chiarezza e trasparenza.
E mentre il Paese è in ginocchio la politica pensa ai cavoli propri. Giuseppe Conte è al lavoro per rilanciare il M5S, nel partito democratico è impossibile qualsiasi pronostico. Non si intravede ancora una soluzione al caos provocato dalle dimissioni a sorpresa del segretario Nicola Zingaretti.
Ma stupore e sgomento che si vivono nel Pd non sono soltanto l’effetto degli ultimi accadimenti, piuttosto gli esiti nefasti delle difficoltà già esistenti e poi emerse con l’avvento del nuovo esecutivo.
Altro discorso è quello di definire che cosa sia in questo momento storico la sinistra in Italia e che cosa intenda fare nel prossimo futuro divisa com’è in tanti piccoli rivoli, correnti e gruppetti dalle percentuali infinitesimali. Comunque quello che potrà accadere all’assemblea nazionale del Pd, convocata per sabato 13 e domenica 14 marzo, è ancora tutto da scrivere.
L’organismo ha davanti a sé due opzioni: eleggere un nuovo segretario o un reggente, oppure convocare il congresso. Allo studio varie ipotesi per assicurare il rispetto delle norme di sicurezza ma sembra quasi certo il ricorso ad un’assise virtuale che si svolgerà prevalentemente in digitale.
Limitando al massimo le presenze. Insomma un’assemblea da remoto, secondo il modello del Webinar, con un migliaio di partecipanti collegati in rete che avranno il compito di stabilire il ruolo del Pd all’interno del governo Draghi, così come previsto nell’ordine del giorno originario, prima delle dimissioni di Zingaretti.
Ma se l’assemblea si trovasse a votare il nuovo segretario, l’affare si complicherebbe non poco. Nelle ultime riunioni di direzione si è votato tramite e-mail. I partecipanti hanno avuto un paio d’ore per esprimersi. L’assemblea dei Dem, però, ha tutt’altre dimensioni. I tempi per la votazione potrebbero dilatarsi anche perché non ci sono molte alternative sul voto telematico per manifestare la propria preferenza.
Notevoli le pressioni su Zingaretti per un ripensamento che sbloccherebbe, senza grandi ripercussioni, la situazione all’interno del partito ma non tutti tifano per quest’ultima ipotesi, tramando altre strategie. Certamente c’è tra i dirigenti democratici chi auspica che sia Zingaretti a togliere le castagne dal fuoco e molti non demordono dal tentativo di convincere il segretario dimissionario a ripensarci.
Si tenta di insistere sulla persona ma senza molte chance di riuscita, perché il governatore non sembra intenzionato a tornare sui suoi passi. L’auspicio di chi lo vorrebbe di nuovo in sella è che questo orientamento si imponga in assemblea e che Zingaretti accetti.
Quest’ultima soluzione potrebbe conferirgli maggiore forza, spegnendo quelle polemiche interne che lo hanno indotto a lasciare, comprese le richieste di un congresso. Ma questa non appare come una prospettiva su cui il partito scommette realmente. Comunque nel caso di ulteriore conferma di indisponibilità da parte di Zingaretti e con un congresso che potrebbe celebrarsi anche tra un anno, la maggioranza dovrà individuare una nuova figura per la guida del Pd.
Le varie correnti stanno dialogando alla ricerca di un leader che possa andare bene per tutti. Fra i nomi che circolano, i più quotati anche in risposta alle polemiche sulla rappresentanza di genere, sono quelli di Roberta Pinotti e Anna Finocchiaro. Ma si parla persino di “riesumare” Piero Fassino. Il che è tutto dire.
Ma sul tavolo dei papabili figura anche il vicesegretario Andrea Orlando, che non dispiace a molti. Le ipotesi sono tante ma nessuna che riesce ad entusiasmare per dare una svolta ad un partito forse troppo “antico” e conformista. Ma c’è di più: una parte dei Pd ha fatto i nomi dell’ex ministro dell’Economia, Roberto Gualtieri, di Walter Veltroni ed addirittura di Enrico Letta, come eventuali scorte.
Letta però si sarebbe subito defilato annunciando sui social la propria indisponibilità. Poi, però, pare ci abbia ripensato dichiarando di accettare l’eventuale incarico qualora le proposte venissero avanzate con cognizione di fatto.
Ma nessuno può pensare che basti un “traghettatore” per risolvere le guerre intestine. Serve un segretario che abbia anche una leadership politica, con una visione ben chiara del presente e del futuro, Un “capo” carismatico in grado di affrontare le sfide dei prossimi mesi.
Dalle amministrative del prossimo autunno all’elezione del successore di Sergio Mattarella alla Presidenza della Repubblica. Deve essere chiaro che chiunque venga eletto dovrà avere una forza ed una autorevolezza tali da potere “giocare nello stesso campo” di Matteo Salvini e Silvio Berlusconi senza lasciarsi schiacciare.
E’ anche per questa ragione non sembra praticabile la via di un segretario unitario, frutto del compromesso fra le varie anime del partito dunque sempre esposto ai venti gelidi delle correnti:
“…La scelta politica di Nicola Zingaretti – dice Stefano Vaccari, dirigente Dem – ha creato smarrimento e incertezza, insomma una reazione emotiva molto forte, che al tempo stesso ha prodotto atti politici e documenti, arrivati da tante Federazioni e da tanti circoli, in cui viene chiesto un ripensamento al Presidente della Regione Lazio...”.
L’unica cosa che in questo difficile momento bisogna evitare è di non snaturare il gesto di Zingaretti dentro un finto unanimismo che non serve proprio a nulla.
Ti potrebbe interessare anche —>>