Venduta all’asta un’isola della laguna

L’acquirente, e meno male, farà dell’isolotto un centro di cultura e di incontro ristrutturando edifici e salvando dal degrado strutture, beni culturali e ambientali negli anni abbandonati all’incuria e alla miopia di una certa politica locale. Finalmente una vendita che significa nuova vita per l’isola La Cura.

VeneziaQualche mese fa una notizia è passata sotto silenzio dalla grande stampa ed è stata riportata solo nelle cronache locali, perché il protagonista assoluto delle news dell’ultimo biennio è stata e continua ad essere la pandemia. E mentre si parlava di contagi e mascherine a Venezia, la splendida città lagunare, è stata venduta all’asta l’Isola La Cura, a pochi minuti da Burano, a nord del capoluogo veneto.

L’Isola La Cura in prossimità di Burano

Già un luogo con quel nome, che è tutto un programma, avrebbe dovuto far desistere dalla vendita. Coi tempi che corrono è molto conveniente averne a disposizione uno che richiama alla “cura“. Se non altro per scaramanzia. Infatti il termine ha una molteplicità di significati, tutti positivi e benefici. Si va dalla cura come attenzione verso qualcuno o qualcosa, alla dedizione nel provvedere a qualcuno o qualcosa. Dallo zelo e dall’accuratezza che si impiega per svolgere un’attività fino alla gestione ed amministrazione dello Stato. Dal complesso di terapie, medicamenti e rimedi usati per guarire dalle patologie, alla cura delle anime da parte della Chiesa.

Il vero affare, dunque, l’ha fatto l’acquirente, un giovane manager veneziano, Alvise Bottoni. Il costo si aggirerebbe a poco più di 200 mila euro. L’acquisto è avvenuto dopo che le prime due sedute dell’asta erano andate deserte. La motivazione che ha spinto il giovane e rampante imprenditore a compiere un passo del genere è frutto dell’amore verso la città, la sua storia e le tradizioni.

Alvise Bottoni

L’isola, un’oasi di pace, ricca di storia e archeologia si trovava in stato di abbandono da molto tempo. Come succede del resto spesso in questo nostro sfigato Paese, dove i beni naturali e culturali vengono lasciati nel degrado più totale. Sembrerebbe che il nuovo acquirente non voglia utilizzare la zona per costruirci un hotel megagalattico, ma per farne un luogo di ritrovo, parte attiva di quello che è il museo a cielo aperto della laguna.

Il presidente di Archeoclub, Gerolamo Fazzini si è mostrato davvero entusiasta: “…E’ una bella notizia per Venezia e tutti gli appassionati di archeologia ha detto Fazzini – nel nostro Tezon Grande, il principale edificio dell’isola, lungo più di 100 metri, che conserva ancora molte scritte e disegni originali, e nel Lazzaretto Nuovo, un’isola della Laguna Veneta di circa nove ettari posta all’inizio del canale di Sant’Erasmo, abbiamo decine di reperti provenienti anche dall’isola La Cura. Saremo ben felici di collaborare col nuovo proprietario…”.

Gerolamo Fazzini

Al momento pare sia prevista solo l’accessibilità all’isola, nel massimo rispetto dell’ambiente e la sistemazione della cavana, il ricovero per l’attracco delle barche, e la ricostruzione del casone dell’800, edifici ormai ridotti a ruderi. Il luogo è stato depredato di tutto, anche dei mattoni, lasciando in loco solo quelli della cavana perché erano pieni di sale e non più utilizzabili per l’edilizia e quelli dei camini, consumati dal fuoco.

Il territorio grande circa 19 ettari è stato parte integrante della Laguna di Venezia. L’isola apparteneva all’antica città di Costanziaco ed i suoi primi abitanti arrivarono dalla non lontana Altino durante il V° secolo D.C. L’antica città dipendeva dal punto di vista amministrativo e politico dalla vicina Ammiana e vi furono costruiti numerose Chiese e conventi, come quelle dei S.S. Sergio e Bacco e di S. Matteo.

L’antica città di Costanziaco costruita nel 650 e abbandonata nel 1439 per insalubrità ambientale

In seguito l’isola è stata utilizzata come valle da pesca e zona agricola e furono edificati dei rustici che sono in totale abbandono. In passato sono stati effettuati scavi archeologici che hanno portato alla luce tracce dell’antico insediamento del VII secolo.

L’aspetto storico e culturale avrebbe dovuto rappresentare per le Istituzioni e la comunità motivo di conservazione, di appartenenza e di rilancio. Vendere beni naturali all’asta è un po’ come vendere l’anima di una comunità. Un atto di incuria e di menefreghismo che si commenta da sé. Pur di fare soldi, si venderebbe anche l’anima al diavolo.

                                            

Facebook
Twitter
LinkedIn
WhatsApp
Email
Stampa