C’è modo e modo per rivendicare i diritti. Urtare la suscettibilità degli italiani credenti con una persona vestita da Gesù che trasporta la croce è stata una cattiva idea. Una iniziativa demenziale che ha sortito i risultati contrari. Parlare di leggi da approvare e di ingerenze da parte del Vaticano è un conto, macchiarsi di blasfemia è un altro.
Le manifestazioni del “Gay Pride” a Milano, come a Roma e in tante altre città italiane, si sono svolte senza carri né palco. Una soluzione di ripiego a causa delle necessità dettate dall’emergenza sanitaria: obbligatorio l’uso delle mascherine e il rispetto delle distanze.
Lo scorso anno la pandemia aveva impedito tutte le manifestazioni della collettività LGBTQ – lesbiche, gay, bisessuali, transgender (transessuali), queer (maschi omossessuali effeminati) – quest’anno però la loro voce si è fatta sentire più forte al grido di “aboliamo il concordato!”, dopo la presa di posizione del Vaticano in merito al Ddl Zan, fermo in Senato.
Il 17 giugno la Santa Sede aveva chiesto al Governo italiano, con una nota diplomatica, di modificare il Disegno di Legge Zan, la proposta di Legge contro discriminazioni e violenze per orientamento sessuale, genere, identità di genere e abilismo (la discriminazione nei confronti delle persone diversamente abili).
Per lo Stato Pontificio alcuni contenuti influirebbero “…negativamente sulle libertà assicurate alla Chiesa e ai suoi fedeli…”, perché potrebbero imporre alle scuole cattoliche l’organizzazione di attività contro l’omofobia e ciò costituirebbe una violazione del “Concordato”, il documento ufficiale che regola i rapporti tra lo Stato Italiano e la Chiesa Cattolica.
“…Il nostro è uno Stato laico e non confessionale quindi il Parlamento è libero di discutere e legiferare…” così si espresso il presidente Mario Draghi in Senato, facendo riferimento alla nota del Vaticano.
Nei diversi appuntamenti programmati per l’anno in corso la comunità Lgbtq ha riaffermato i propri principi con forza e incisività: “l’amore va rispettato in tutte le sue forme“. Era il 1994 quando a Roma si teneva il primo Gay Pride ufficiale nazionale ma alcune manifestazioni a carattere locale si erano già svolte dagli anni ’70.
La prima kermesse di un certo rilievo si era svolta il 5 aprile ‘72 a Sanremo per protestare contro il “Congresso internazionale sulle devianze sessuali” organizzato dal Centro Italiano di sessuologia, di matrice cattolica.
Le parate del Gay Pride dei nostri giorni non sono altro che feste divertenti, aperte a tutti, e dove potersi esibire con mises coloratissime, muscoli in bella vista e abiti succinti ma non è stato sempre così. Quest’anno però si è andati oltre: la visione di un trans vestito da Gesù con tanto di croce in mano ha davvero urtato, giustamente, la sensibilità di gran parte degli italiani credenti, ma tant’è.
Comunque stiano le cose la strada per un sempre maggiore sostegno ai diritti Lgbtq nel mondo, compreso il diritto all’unione civile tra persone dello stesso sesso, è ancora lunga e tortuosa ed è stata lastricata da grandi e violente battaglie per l’attuazione di leggi contro la discriminazione e non solo.
Oggi in 72 paesi nel mondo è ancora reato essere gay ma anche in Paesi civili come il nostro c’è ancora tanto da fare per abbattere diversi retaggi culturali duri a morire. Le manifestazioni popolari non sono altro che uno dei volti della democrazia ma gli eccessi fanno sempre storcere la bocca. E diminuiscono il consenso della gente.