Salvini tenta la carta del referendum per riformare la giustizia. Un colpo di mano che non sortirà alcun effetto, come tanti altri referendum disattesi. Se un partito fa parte di un governo è lì che deve dare battaglia. Farla al di fuori del Parlamento è una furbata che non paga.
Roma – Il ricorso al “corpo elettorale” è sempre la forma più alta di democrazia, salvo strumentalizzazioni e dietrologie. A volte si ritorna al referendum per sondare la volontà popolare ed anche per “tenere banco” sui media.
In sostanza si rispolverano slogan e luoghi comuni, un mix di suggestioni con pochi contenuti in cui si cerca di catturare l’interesse dei cittadini. Con poche speranze di riuscita considerando il perdurare di gravi criticità nella vita quotidiana di cui la politica sembra non tenere conto.
E tanto per cambiare un grande striscione, con su scritto “Referendum Giustizia”, è stato esposto davanti al Palazzaccio di piazza della Repubblica a Roma, sede della Corte di Cassazione, dai militanti della Lega e del Partito Radicale, nel giorno in cui il comitato promotore, co-presieduto da Salvini e Turco, è entrato nell’edificio degli Ermellini per depositare in cancelleria i quesiti del referendum sulla giustizia.
In pratica le sei domande depositate chiedono agli italiani di esprimersi, in maniera favorevole o contraria, sulle elezioni del Csm, sulla responsabilità diretta dei magistrati, sull’equa valutazione dei magistrati, sulla separazione delle carriere dei magistrati, nonché sui limiti agli abusi della custodia cautelare e dell’abolizione del decreto Severino.
Che dire, però, di tutte quelle le volte in cui l’esito di un referendum è stato disatteso beffando cosi la volontà popolare?
Come dimenticare il referendum del 1993, per l’abolizione del finanziamento pubblico ai partiti di fatto poi reintrodotto lo stesso anno dal Parlamento sotto forma di rimborso elettorale? Ce n’è per rodersi l’anima a proposito di democrazia e Costituzione.
Matteo Salvini, orgoglioso ed euforico per questa ennesima battaglia più volte perduta in partenza, non ha lesinato le sue solite frasi ad effetto che lasciano basiti:“…Oggi è una bellissima giornata di democrazia, cambiamento e partecipazione popolare – ha detto il capo del Carroccio – questo è un referendum per una riforma vera, profonda e giusta della giustizia, attesa da decenni, con meno correnti nel Csm, processi veloci, responsabilità civile di chi sbaglia e più tutele per i sindaci…”.
Così mentre il Parlamento pare andare avanti nel processo delle riforme, dal 2 Luglio gli italiani potranno sottoscrivere i quesiti. Alcuni temi, infatti, per la variegata maggioranza parlamentare, non potranno trovare spazio in Parlamento dunque il ricorso ai cittadini appariva scontato.
Le proposte, però, rischiano di suonare come un vero e proprio atto ostile contro il governo di Mario Draghi, impegnato con la guardasigilli Marta Cartabia nella delicata riforma del comparto giustizia. D’altronde appare assai strano raccogliere le firme per un referendum quando si fa parte dell’esecutivo. Insomma stranezze dei “nuovi inquilini del Parlamento” a cui manca, fra le altre cose, lo stile dei colleghi cosiddetti appartenenti alla prima Repubblica.
Piuttosto sembrano atteggiamenti simili a quelli degli extra-parlamentari. Infatti Giulia Bongiorno, ex ministra leghista, cerca di minimizzare arrampicandosi sugli specchi. Come fa qualche volta il penalista in aula quando non ha più carte da giocare e non intende scontrarsi col Pm e men che meno col giudicante.
“…Questo referendum è a favore della magistratura – ha detto la Bongiorno – perché la stragrande maggioranza dei giudici sono persone perbene che non ne possono più di quello che sta accadendo, poiché incide sulla loro credibilità. Non c’è nessuno scontro…”.
Anche il Partito Radicale, attraverso il suo segretario Maurizio Turco, ha ringraziato Salvini con parole che sembrano un’autentica sviolinata:
“…Perché ci aiuta ad alzare un’altra volta questo striscione – ha aggiunto Turco – questa sarà la volta buona perché qualcuno difenderà in Parlamento le scelte dei cittadini. Abbiamo letto, con soddisfazione, di Bettini che invita il Pd a non isolarsi ulteriormente, poiché è una battaglia di democrazia…”.
Pifferi e tamburi a parte il referendum sulla giustizia nelle forme in cui viene proposto sembra una evidente strategia di distrazione o, comunque, di nemmeno tanto velata opposizione al governo di cui Salvini fa parte. Certamente non un sostegno all’attuale ministra Cartabia, né tantomeno al Premier Draghi.
Oppure potrebbe essere l’ennesimo specchietto per le allodole in cui cadono ancora tanti italiani. Fare qualcosa per riformare la giustizia nel tentativo, maldestro, di acchiappare consensi a basso costo ma nella certezza che non cambierà nulla.
Per poi dire: io un tentativo l’ho fatto, se non è riuscito non è per colpa mia. Peccato che il giochetto è stato sgamato da tempo. Ed è sempre lo stesso. Insomma piove, governo ladro.