Tutti in classe: a lezione di stress

Un rapporto della Onlus WeWorld mostra come, a seguito delle modifiche imposte dall’emergenza pandemica, la percezione che gli studenti hanno dell’istituzione scolastica si sia ulteriormente deteriorata. Quali potrebbero essere le soluzioni a questo insidioso problema che rischia di minare il corretto inserimento nella società degli adulti del futuro?

Roma – La scuola italiana, che stress! No, non è la solita battuta di Pierino, il pestifero monello dotato di un senso dell’umorismo molto ruspante, ispirato all’omonimo fumetto di Antonio Rubino. Adesso sono gli studi ufficiali a confermarlo: la scuola italiana è la più stressante al mondo. La pandemia ha peggiorato la situazione, rendendo più palesi le carenze rispetto ai sistemi educativi del resto d’Europa.

È quanto emerso dal rapporto Facciamo scuola – L’educazione in Italia ai tempi del Covid-19, a cura di WeWorld. Quest’ultima è un’organizzazione italiana indipendente che opera da 50 anni e attiva in 25 Paesi con progetti di cooperazione per lo sviluppo e l’aiuto umanitario al fine di garantire il rispetto dei diritti delle fasce sociali più vulnerabili, in primis di donne e bambini.

Oltre la metà degli studenti ha manifestato forte insofferenza verso la scuola, mentre nel resto del mondo la media è di un terzo. C’è un dato che sorprende e che smentisce la nomea degli italiani fannulloni. È quello riferito al carico di studio, che ammonta a più di 50 ore settimanali, il più gravoso tra i Paesi occidentali. Questo aspetto è esasperato dalla mancanza di pause durante l’anno scolastico e rende complicato per bambini ed adolescenti dedicarsi ad altre attività o riposarsi. Queste condizioni di stress emotivo producono scarso interesse nei confronti della scuola, con effetti deleteri anche a livello sociale.

È confermato dalle statistiche, purtroppo, anche il dato che riguarda disagio psicologico e dispersione scolastica. Almeno un giovane su 5 tra i 15 e 24 anni, nel 2020 non lavorava né studiava. La didattica a distanza durante la pandemia ha visto crescere del 25% la percentuale di studenti sotto il livello minimo di competenze, valutato tramite il metodo Invalsi. Come si usa dire il cane morde lo straccione, la sorte si accanisce sempre contro la fascia più povera della società, fenomeno accentuato dal digital divide, il divario tra chi ha un adeguato accesso alle tecnologie informatiche e chi ne è sprovvisto.

L’esclusione dalla società digitale per una buona fetta di popolazione produce danni socio-economici e culturali. Quando è scoppiata la pandemia, WeWorld ha lavorato nelle realtà periferiche. Ebbene il 70% degli under 18 non aveva un Pc o tablet, né una connessione internet a casa. Circa 600 mila studenti sono rimasti esclusi dalla didattica a distanza. Il report non si è limitato all’analisi del fenomeno sociale, ma ha elencato tre proposte per recuperare il gap educativo dei più svantaggiati e rendere la scuola più costruttiva.

Un’opzione potrebbe essere allargare la fascia d’età dell’obbligo scolastico dai 3 ai 18 anni, invece che dai 6 ai 16 di oggi. L’educazione scolastica dalla prima infanzia verrebbe percepita come strumento di crescita personale e di emancipazione nell’età adulta. Si ritiene che ciò potrebbe diminuire il fenomeno dei neet, “Not in Education, Employment or Training“, ovvero i giovani che non studiano né lavorano, oltre a ridurre la dispersione scolastica e la povertà educativa. Un’educazione di qualità ha un impatto positivo su tutta la società, aumentandone il capitale umano, sociale ed economico.

Un’altra ipotesi sarebbe la rimodulazione del calendario vacanziero. Ridurre da tre a due i mesi di vacanze estive, aumentando quelle che occorrono durante l’anno scolastico, a vantaggio della continuità didattica e relazionale. La riduzione delle vacanze accorcerebbe il periodo in cui i giovani non si istruiscono, in modo da non perdere le competenze acquisite da un anno all’altro. L’estate poi può essere occasione per l’incremento delle attività culturali, sociali e sportive. Questo dipende sia dalle offerte del territorio sia dalle risorse economiche familiari. Il bilanciamento del calendario scolastico potrebbe essere occasione di sviluppo della continuità didattica con riduzione delle disuguaglianze.

L’ultima proposta è quella del dirigente del tempo extra scuola. WeWorld propone questa nuova figura che avrebbe lo scopo di coordinare e potenziare l’offerta formativa in collaborazione col terzo settore. L’intento è quello di ridurre la mancanza di esperienze relazionali, venute meno coi vari lockdown durante la pandemia. Questa figura professionale creerebbe percorsi educativi di comunità volti ad aumentare il benessere complessivo degli studenti e dell’intera collettività. Un’offerta a vasto raggio comprendente attività sportive, sociali, culturali e di orientamento che partecipano alla formazione dell’individuo e delle competenze spendibili nella vita.

Se già dalla scuola si inizia a vivere situazioni di stress, ambiente in teoria protetto e che dovrebbe formare i cittadini del futuro, non ci si può meravigliare di quello che si combina in età adulta, quando si entra nel mondo lavorativo e nella vita affettiva e familiare. Tutti ambienti in cui il livello di burnout e di conflittualità è ai massimi livelli. Siamo messi proprio male: sin dalla nascita, ovunque si volge lo sguardo, arrivano ceffoni!

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