Toghe contro toghe. La riforma rallenta

Il disaccordo fra i magistrati è palese come lo sono gli interessi che allontanano la possibilità di accettare i punti cruciali della riforma Cartabia considerata dai vertici inadeguata, già vecchia e dalla parte delle gerarchie. L’associazione nazionale Magistrati annuncia uno stato di agitazione permanente mentre altri guai si profilano per il riassetto della Giustizia tributaria che si preannuncia irto di ostacoli.

Roma – Il virus colpisce in alto. Il Premier è risultato positivo al Covid e non potrà prendere parte alle missioni in Angola e Repubblica del Congo per stringere accordi in materia di energia. Nei Paesi africani andranno i ministri Di Maio e Cingolani con la speranza che i risultati degli incontri sortiscano comunque gli esiti sperati.

Luigi Di Maio – Roberto Cingolani

Schiarita, invece, nella maggioranza sulla riforma del Csm dopo la riunione dei capigruppo, ma sembra più un accordo di facciata che lascia tutte le incomprensioni inalterate.

Nel frattempo, il presidente dell’Anm Giuseppe Santalucia conferma il suo giudizio pessimistico: “…Siamo in continuità con le peggiori riforme e si sta cambiando l’assetto della Costituzione senza guardare in faccia la Costituzione…”.

L’associazione nazionale Magistrati, però, in contemporanea alla conferenza stampa viene attaccata dall’interno del “Parlamentino dei Giudici” da Magistratura Democratica, la corrente più a sinistra delle toghe che definisce la sua azione, finora svolta contro la riforma, intempestiva, timida ed incapace.

Giuseppe Santalucia

Parole che sono come le pietre che denotano il clima rovente che si respira non solo tra i partiti ma anche nella società civile e tra i magistrati. Insomma la riforma riporta a galla tutte le incomprensioni e le visioni diverse sul pianeta Giustizia che in pochi intendono ammodernare e rimettere in sesto.

Non è una novità ma adesso gli effetti sembrano più dirompenti soprattutto alla luce di quanto accaduto sul caso “Palamara” i cui effetti nefasti e destabilizzanti non si sono mai placati. Anche la riforma della Giustizia Tributaria sarebbe alle porte ma saranno dolori anche in questo caso. Infatti è stato raggiunto un accordo tra il ministero dell’Economia e quello della Giustizia.

Il presidente del Consiglio della Giustizia Tributaria, Antonio Leone, proprio nel soffermarsi su alcuni punti della riforma ha commentato il comportamento dell’organo di autogoverno dei magistrati “…Il silenzio del Csm dopo la delibera del Consiglio di Presidenza della Giustizia Tributaria del 22 marzo scorso, in cui si chiedeva una interlocuzione con il Consiglio superiore della magistratura…”.

Antonio Leone

Dopo il suo discorso in occasione della inaugurazione dell’anno giudiziario, Leone ha affermato di percepire nella proposta del Csm un alone di sospetto verso i magistrati che svolgono la funzione di giudice tributario e un pregiudizio negativo nella giustizia tributaria.

“…Le elezioni – afferma il presidente del Cgt per il rinnovo del Csm si avvicinano e alcuni gruppi associativi non vedono di buon occhio che un magistrato scriva sentenze per un’altra giurisdizione rendendo così un servizio all’Erario e al cittadino contribuente. In compenso, senza alcun problema, può scrivere libri e fare il conferenziere a pagamento…”.

Settimana rovente, dunque, per il Governo Draghi. Entra nel vivo, infatti, la riforma del Consiglio Superiore della Magistratura che approda in aula a Montecitorio dopo l’esame in Commissione Giustizia.

Matteo Renzi

La maggioranza è divisa e Italia Viva ha fatto sapere di non votare le modifiche. I togati del Csm si ribellano e fanno sentire la loro voce, a dire il vero non unanime, che rigetta fermamente le accuse di essere considerati una casta che provengono da più parti.

I giudici, pur consapevoli dell’importanza di una riforma, che è ineludibile, ritengono però che debba essere diversa rispetto a quella all’esame del Parlamento:“…Guarda molto al passato, accentua la strutturazione gerarchica, accentra i poteri in capo ai dirigenti dell’ufficio – affermano i vertici dell’Anme utilizza la leva del disciplinare per controllare i magistrati e indurre ad avere maggior timore nel momento in cui si approcciano al loro delicatissimo mestiere…”.

Il colpo più duro è rivolto, però, alla durata dei processi, per i quali non esiste una norma che possa ridurre anche di un solo giorno le tempistiche dei procedimenti. Il risultato a cui perverrà la Giunta esecutiva dell’Anm sarà, probabilmente, uno stato di agitazione permanente, per manifestare la totale insoddisfazione nei confronti della riforma Cartabia. In sostanza uno sciopero che è una delle forme di protesta che più rendono plastico e drammatico il dissenso dell’organizzazione dei magistrati. 

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