Sotto un treno per porre fine al suo tormento

I sei presunti responsabili delle violenze in danno della vittima sono stati identificati e arrestati. Pur di vederlo soffrire lo avrebbero capovolto a testa in giù riprendendo con il telefonino le torture. Quando non ne ha potuto più Marco Ferrazzano ha scelto il suicidio.

FOGGIA Lo avrebbero insultato e picchiato costringendolo a fare le capriole per il loro sadico divertimento. Quando il disagio interiore e la paura hanno avuto il sopravvento ha deciso di gettarsi sotto un treno. Parliamo di Marco Ferrazzano, 29 anni, meglio conosciuto dai suoi amici come “Il veronese”, scomparso da casa lo scorso 22 febbraio, intorno alle 15, dicendo ai congiunti che sarebbe rientrato dopo un’ora.

Marco Ferrazzano ha scelto il suicidio per lenire il suo disagio interiore

Il giovane finiva invece sotto un treno alla periferia del capoluogo dauno. Il 17 febbraio scorso l’esame del Dna sui poveri resti recuperati sulla strada ferrata Foggia-Termoli, nel tratto Rignano Garganico, dava esito positivo attribuendo alla vittima il materiale biologico repertato.

La squadra Mobile foggiana e la locale Procura, sospettando la presenza di terzi individui, indagavano sei persone che avrebbero usato violenza, minacce e costretto ad atti contrari alla propria volontà sia il povero Ferrazzano, a cui pare abbiano anche rubato dodici telefoni cellulari, che un suo amico, tale G.S. di 23 anni.

Sarebbero stati iscritti sul registro degli indagati dapprima Giuseppe Leone Della Pace, 23 anni; Francesco Paolo Paoletti, 22 anni; Dario Pio Vacca, 22 anni e Giuseppe Apruzzese. Della Pace sarebbe accusato, in concorso con una persona ancora da identificare, di furto del cellulare di Ferrazzano rubato con il pretesto di dover fare una telefonata urgente.

Con in mano lo smartphone Della Pace e il suo complice fuggivano a bordo di uno scooter e si dileguavano. Gli altri indagati sono accusati di stalking non solo nei confronti di Ferrazzano ma anche del suo amico G.S. Nei giorni scorsi ai quattro balordi se ne aggiungevano altri due, tali Antonio Bernardo, 24 anni, detto “’U stagnr” e Antonio Pio Tufo, di 21, soprannominato “‘U giall”.

Bernardo è nipote dell’omonimo Antonio Bernardo detto “lo Zio”, ucciso nei pressi di San Ciro nel 2008, nell’ambito di una faida mafiosa mirata all’eliminazione della vecchia classe dirigente criminale della cosiddetta “Società Foggiana”.

Antonio Bernardo

I due presunti stalker sono attualmente detenuti per una rapina, consumatasi il 17 settembre 2020, durante la quale rimase ucciso Francesco Traiano, titolare del bar “Gocce di Caffè”. Bernardo pare si fosse accanito sul corpo del povero esercente sferrandogli calci e pugni quando Traiano era già privo di sensi prima di farlo finire con una coltellata sul volto da un minorenne complice della violentissima rapina.  

Ferrazzano e G.S. sarebbero stati più volte minacciati, molestati, diffamati ed aggrediti fisicamente. Ma anche derisi, picchiati e costretti a fare capriole mentre venivano ripresi con i telefonini. I video erano finiti poi su Instagram, su una pagina poi chiusa, dove anche altri ragazzi fragili della città venivano sbeffeggiati da delinquenti e pregiudicati con la passione per il sadismo.

Antonio Pio Tufo

In particolare Apruzzese avrebbe spinto per terra G.S. e, in un’occasione, lo avrebbe capovolto a testa in giù, permettendo a Vacca di riprendere la scena con il cellulare, mentre Paoletti assisteva compiaciuto al supplizio. Le torture alle due vittime si sarebbero consumate nel Parco San Felice, quartiere Candelaro, e nel quartiere San Ciro, davanti ad altre persone di cui nessuna avrebbe sporto denuncia.

Vacca avrebbe minacciato più volte lo stesso G.S. dicendogli “ti spacco la testa” ed altre frasi minacciose.  Marco Ferrazzano, spesso, sarebbe tornato a casa con ecchimosi al volto e sul corpo e senza decine di telefonini rubati dalla banda di aguzzini che lo avevano preso di mira. Il giovane aveva confidato ad un amico la volontà di farla finita. E cosi è stato quel tragico 22 gennaio scorso:

Enza Febranetti, madre della vittima

”…Marco era un soggetto fragile ed era seguito da anni da professionisti – ha detto Vincenzo Gesualdo, presidente dell’ordine degli Psicologi pugliesi – a questo si sono aggiunti presunti gravi atti di bullismo non solo nella città in cui è nato e cresciuto ma anche al nord, dove viveva il papà. Le vessazioni di gruppi di ragazzi che non solo lo deridevano dal vivo ma pubblicavano le violenze sui social… Bullismo e utilizzo malato dei social è un mix letale, sempre…”.

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