In un momento tragico per Il Paese balzano all'occhio l’informalità e la spregiudicatezza con cui gli indagati si sarebbero mossi ponendo in essere un presunto patto occulto e lucroso con la pubblica amministrazione.
Roma – L’affaire dello scandalo delle mascherine cinesi non ci risparmia nuovi colpi di scena: l’ex commissario per l’emergenza Covid Domenico Arcuri, silurato da Mario Draghi, e ancora amministratore delegato di Invitalia, sarebbe stato iscritto nel registro degli indagati della Procura della Repubblica di Roma.
Dell’accusa di peculato, un reato che prevede fino a dieci anni e mezzo di reclusione, ne dovrà rispondere oltre che Arcuri anche il suo ex collaboratore Antonio Fabbrocini.
Un’accusa contenuta nel fascicolo sulle maxi forniture di mascherine cinesi da 1,25 miliardi di euro per la quale a fine febbraio erano già state emesse cinque ordinanze di custodia cautelare dal gip di Roma Paolo Andrea Taviano.
Nello specifico era finito agli arresti domiciliari il trader Edisson Jorge San Andres Solis, mentre erano scattate quattro misure interdittive del divieto di ricoprire incarichi o uffici direttivi in persone giuridiche o imprese nei confronti di Mario Benotti, giornalista Rai in aspettativa, ben inserito nel mondo della politica con conoscenze trasversali un po’ dappertutto nonché presidente del consorzio Optel e di Microproducts It.
Le medesime misure erano scattate anche nei riguardi di Daniela Rosanna Guarnieri, amministratrice delegata della medesima società, di Andrea Vincenzo Tommasi, titolare della Sunsky srl e di Khouzam Georges Fares.
Dunque un sodalizio tra più parti che si sarebbe reso responsabile, a vario titolo, del reato di traffico di influenze illecite, ricettazione, riciclaggio e auto-riciclaggio.
Le indagini, coordinate dal procuratore aggiunto Paolo Ielo e dai Pm Fabrizio Tucci e Gennaro Varone si sono orientate, in particolare, sulle maxi commesse da 72 milioni di euro per l’acquisto di 801 milioni di mascherine durante la prima ondata della pandemia e provenienti da tre consorzi cinesi.
Sempre secondo gli inquirenti il giornalista, in nome di un vecchio legame di amicizia, avrebbe contattato l’allora commissario straordinario per “pilotare” gli acquisti di dispositivi di protezione, in cui avrebbero svolto un ruolo da intermediari alcune imprese italiane come la Sunsky srl, la Microproducts It srl e la Guernica srl.
La Procura ritiene che Benotti si sia fatto dare indebitamente dall’imprenditore Tommasi – che a sua volta agiva in concorso con Guidi e Solis – la somma di quasi 12 milioni di euro per la sua mediazione illecita relativa alle famose commesse di forniture di dispositivi di protezione individuali.
Forniture ordinate dallo stesso Arcuri alle società cinesi, individuate da Tommasi insieme agli altri due compari i quali avrebbero intascato, rispettivamente, 60 milioni e 5,8 milioni di euro.
L’inchiesta aveva portato anche al sequestro di conti correnti bancari, case, una barca da 770 mila euro, moto e orologi di lusso per un valore complessivo di 69,5 milioni di euro ai mediatori che avevano organizzato l’importazione delle mascherine made in China.
Ricordiamo anche che nei mesi scorsi era stato ipotizzato anche il reato di corruzione a carico di Arcuri, ma alla fine i magistrati inquirenti avevano chiesto l’archiviazione in quanto non vi era prova che gli atti della struttura commissariale fossero stati compiuti dietro elargizione.
E, se vogliamo mettere tutti i tasselli al punto giusto, non possiamo non soffermarci sulla valenza del rapporto tra Benotti e Arcuri.
Una sorta di passepartout che avrebbe spianato la strada agli indagati, avvantaggiandoli rispetto agli altri possibili fornitori concorrenti. Da gennaio a maggio 2020 tra i due ci sono stati ben 1.282 contatti telefonici: chiamate con e senza risposta ed sms.
I contatti si sono interrotti il 7 maggio, nonostante i successivi tentativi fatti da Benotti per proporre nuovi affari legati alla fornitura di tamponi rapidi, guanti e mascherine.
Inoltre i contatti tra intermediari e la struttura commissariale sono stati antecedenti al 10 marzo e quindi prima del lockdown nazionale, in un momento in cui nessuna norma consentiva deroghe al codice dei contratti.
Come se non bastasse i magistrati asseriscono che il primo contratto sarebbe stato stipulato il 25 marzo, quando la struttura commissariale ancora non esisteva ufficialmente.
Questo per dare l’idea dell’informalità e della spregiudicatezza con cui si sarebbe proceduto in uno con l’esistenza di un patto occulto e lucroso con la pubblica amministrazione.
Per tutta risposta l’amministratore delegato di Invitalia ha affermato che di concerto con la struttura già preposta alla gestione dell’emergenza ”continueranno, come da inizio indagine, a collaborare con le autorità inquirenti, nonché a fornire loro ogni informazione utile allo svolgimento delle indagini”. Contento Arcuri…
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