Qualcuno aveva interesse nel chiudere la bocca al boxeur-buttafuori? Il giovane si era trovato nel posto sbagliato, nel momento sbagliato? Sapeva qualcosa su un vasto giro di droga? Certo può trattarsi di un banale incidente ma, perizie a parte, sono tante le coincidenze e le cose che non tornano sulla morte di Gimmy che sembra più un’esecuzione che una banale caduta.
Ponza – Ucciso da spacciatori senza scrupoli il campione di kick-boxing ritrovato cadavere a Ponza un anno fa? E’ ancora tutta da scrivere la verità sulla morte di Gianmarco Pozzi, romano di 28 anni residente a Frascati, campione di box, ritrovato senza vita il 9 agosto del 2020 all’interno di un’intercapedine di cemento fra due villette a Ponza.
Il giovane aveva trovato lavoro come buttafuori nei famosi locali alla moda Blue Moon e Al Frontone, ed aveva affittato un monolocale in via Staglio, nel quartiere Santa Maria. All’interno di uno spazio tra edifici, separati da terrazzamenti, veniva ritrovato da un residente il cadavere del buttafuori che sarebbe caduto accidentalmente dentro quella maledetta fessura di cemento armato non lontano da casa.
I carabinieri della locale stazione ed i militari della compagnia di Formia, diretti dal tenente Massimo Milano, avviavano subito le indagini coordinate dal Pm di Cassino Beatrice Siravo. A seguito di una prima ricostruzione dei fatti e dopo la ricognizione cadaverica eseguita dal medico legale Daniela Lucidi il boxeur romano sarebbe precipitato da un’altezza di circa tre metri dopo una lunga corsa tra i campi in preda ad una sorta di delirio provocato dall’assunzione di cocaina.
Dunque un tragico incidente. Questa versione dei fatti non ha mai convinto la famiglia della vittima che ha sempre pensato ad una violenta aggressione in danno di Gianmarco che sarebbe stato spinto contro un muro, picchiato a sangue, ucciso e gettato nell’intercapedine. Ad avvalorare questa ipotesi la stessa posizione del cadavere e le ferite riportate sul corpo.
Il giovane sarebbe caduto da un’altezza di circa 2 metri e 70 cm. Il corpo appariva adagiato sulla parte destra con la testa nascosta sotto l’ascella. Il collo era spezzato con abrasioni su gomiti, gambe, spalle e in diverse altre parti del corpo. C’erano diverse costole fratturate, così come clavicola e spalla sinistra. Evidenti i segni di asfissia e il cuoio capelluto scalpato.
Questa tipologia di ferite, secondo il consulente della famiglia Pozzi, professor Vittorio Fineschi, è più compatibile con un’aggressione di quanto non lo sia con una caduta. Insomma per il consulente della Procura, Daniela Lucidi, il pugile sarebbe inciampato e precipitato, mentre per Vittorio Fineschi il buttafuori sarebbe stato ucciso e non ci sarebbe stato alcun delirio da cocaina.
Gimmy Pozzi, come lo chiamavano gli amici sportivi, sarebbe stato schiacciato contro un muro, picchiato a sangue, anche con un oggetto contundente, e gettato come un masso nello spazio tra i muri di due villette. Bene avrebbe fatto la Procura di Cassino, sempre secondo Fineschi, ad aprire un fascicolo per omicidio nonostante le indagini dei carabinieri e la relazione del medico legale facciano pensare ad un incidente mortale.
Per il noto docente dell’università La Sapienza di Roma le stesse escoriazioni evidenziate sulla schiena della vittima (il cui corpo sarebbe stato cremato senza che venisse eseguita una regolare autopsia ma solo una semplice ricognizione cadaverica) non sono compatibili con lo sfregamento del corpo da caduta e nemmeno con una piccola canalina che corre lungo il muretto fino a terra.
Le ferite sono, invece, logiche “con il suolo e gli arbusti presenti” lungo il tragitto dalla casa di Gimmy, dove viveva con altri coinquilini, fino al luogo dove è stato trovato morto. Poi c’è il “giallo” del telefono della vittima.
Il cellulare, che poteva contenere informazioni determinanti, doveva essere sottoposto ad analisi forense. L’apparato in un primo momento sarebbe stato ritrovato integro dai soccorritori del 118 ma poi riconsegnato in condizioni “diverse” alla famiglia:
“…Non abbiamo ancora nulla del telefono – racconta l’avvocato Fabrizio Gallo – questo perché il perito informatico incaricato dal Pm fa otto tentativi, il telefono va in blocco e sostiene che non si può mai più aprire… Tutto questo è pazzesco. L’autopsia non viene fatta, l’area non viene bloccata, non si fanno cose importantissime…”.
L’8 agosto scorso la famiglia con parenti e amici hanno ricordato Gianmarco con una fiaccolata alla quale ha partecipato, oltre alla popolazione locale, anche il sindaco di Ponza Francesco Ferraiuolo ed il parroco della cittadina che poi ha celebrato una messa in onore del giovane scomparso.
Un’altra stranezza, fra le tante: una sera prima della fiaccolata un giornalista che stava riprendendo la manifestazione sarebbe stato aggredito da un pubblico ufficiale e da altro individuo pare non ancora identificato.
Noi andremo sino in fondo, sino alla verità, giurano papà Paolo, mamma Paola Taranto e le due sorelle del povero campione Martina e Alice. Ed è giusto che sia cosi.