Occhio alle aziende che amano l’ambiente

Nei loro programmi di marketing e promozione a sfondo ecosostenibile potrebbe nascondersi un inganno. Anche in Italia il fenomeno è piuttosto diffuso nonostante le norme e tutela dei consumatori. In pratica il “Greenwashing” è l’arte del predicare bene e razzolare male ingannando gli utilizzatori di un prodotto pubblicizzato come innocuo per l’ambiente nascondendo i veleni che sono serviti per realizzarlo.

Roma – Ci sono periodi storici in cui alcune locuzioni entrano con prepotenza nell’immaginario collettivo e nel tritacarne mass-mediatico, tanto da diventare dei veri e propri refrain. Oggi si sente parlare spesso di “green economy“, economia circolare, biodiversità e quant’altro riconducibile al concetto di sviluppo sostenibile. Questo è successo anche perché il consumatore è diventato più sensibile a certe tematiche ambientali per cui le aziende si sono dovute adeguare alle mutate condizioni del mercato.

Green Economy: per l’Italia vale solo il 2,1% del PIL.

Conseguentemente anche la comunicazione è diventata “green“. Tant’è vero che si è arricchita di messaggi emozionali che riguardano i valori del marchio e della sostenibilità che l’azienda promuove e vuole trasmettere ai consumatori. Inoltre si sta diffondendo la consapevolezza, al momento solo teorica, che l’etica, lattenzione al sociale ed alla “tollerabilità” dovrebbero diventare i punti essenziali dei progetti post pandemia.

Tuttavia il rischio che si è corso in passato e che potrebbe ripetersi è quello di proporre il cosiddetto lato nascosto della green economy. Parliamo del fenomeno conosciuto col nome di “Greenwashing“, una strategia di comunicazione o di marketing perseguita da aziende, istituzioni, enti che presentano come ecosostenibili le proprie attività, cercando di occultarne l’impatto ambientale negativo.

Si attua pertanto una sorta di mistificazione dei comportamenti di impatto sostenibile con lo scopo di crearsi un’immagine consona alle tematiche ambientali. Non è certo una novità degli ultimi tempi, solo che adesso si sta spargendo a macchia d’olio. Infatti, già negli anni ’90, due grandi aziende petrolifere americane come Chevron e DuPont cercarono di crearsi un’immagine eco-compatibile per distogliere l’attenzione dell’opinione pubblica dall’inquinamento che stavano provocando.

All’inizio di quest’anno la Commissione Europea e alcune Autorità nazionali di tutela dei consumatori hanno condotto per la prima volta un’indagine approfondita su questa pratica. I risultati, dopo un’analisi dei siti web e della comunicazione delle aziende che proclamano la loro natura ambientalistica, sono stati molto deludenti.

Il Greenwashing e il marketing ingannevole

Più della metà delle aziende aveva omesso informazioni e dati per valutare la veridicità di quanto dichiarato. Nel 37% dei casi le formulazioni sono risultate vaghe e generiche e nel 59% non c’erano prove a sostegno di quanto dichiarato. Risultando, quindi, ingannevoli e non veritiere.

Inoltre queste pratiche commerciali sono state considerate sleali ai sensi della Direttiva europea in vigore. In Italia fino al 2014 mancava una normativa su questo fenomeno. Fu allora che l’Istituto di Autodisciplina Pubblicitaria pubblicò la 58a edizione del Codice di Autodisciplina della Comunicazione Commerciale, introducendo per la prima volta, l’abuso di dichiarazioni che richiamano la sostenibilità ambientale

“…La comunicazione commerciale che dichiari o evochi benefici di carattere ambientale o ecologico deve basarsi su dati veritieri, pertinenti e scientificamente verificabili. Tale comunicazione deve consentire di comprendere chiaramente a quale aspetto del prodotto o dell’attività pubblicizzata i benefici vantati si riferiscono…”.

La norma ha stabilito cosi criteri di trasparenza, veridicità e, soprattutto, verificabilità. L’unione Europea, nel frattempo, nell’intento di offrire al consumatore strumenti sempre più efficaci per difendersi dal Greenwashing, ha varato la nuova Agenda dei Consumatori dell’UE (2020-2025): Il Green Consumption Pledge (Valori di consumo Green).

Greenwashing: è ora di dire basta a chi lo fa e a chi lo permette.

Spiccano, inoltre, anche l’introduzione dell’obbligo di dotare i prodotti alimentari di etichette nutrizionali armonizzate tra gli Stati dell’Unione e il vincolo di etichetta energetica UE per gli elettrodomestici. E’ senz’altro meritorio l’impegno dell’Unione Europea nel varare norme per la tutela dei consumatori e delle varie Autorità nazionale che vigilano sulla pubblicità ingannevole.

Ciononostante è il conflittuale rapporto tra etica e profitto che stride con le pur lodevoli intenzioni del legislatore su questo tema. Fino a quando il profitto resterà il motore della società, di pratiche ingannevoli ce ne saranno sempre a iosa.                                

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