Sono strutture che ormai servono solo come campi di concentramento e la situazione attuale è andata ben oltre la decenza. Gli Stati membri dell’UE dovrebbero porre fine alle politiche di contenimento, che si sono dimostrate improduttive in tutti i sensi. L’Italia, nonostante le promesse, affronta in solitudine le continue migrazioni che sembrano non avere fine.
Roma – Da un paio d’anni a questa parte sono saliti alla ribalta della cronaca gli ennesimi e numerosi casi di migranti morti nel Mediterraneo, il mare che Papa Francesco ha definito il cimitero più grande d’Europa.
I sopravvissuti vengono accolti negli hotspot, letteralmente punto caldo. Istituiti dall’Agenda europea sulla migrazione, sono centri sulle frontiere esterne dell’UE, in cui si procede a registrare i dati personali dei cittadini stranieri appena sbarcati, a fotografarli e raccoglierne le impronte digitali entro 48 ore dal loro arrivo, prorogabili a 72 al massimo.
Nel caso si rifiutino vengono trasferiti nei Cie, Centri di identificazione ed espulsione. L’obiettivo è la distinzione tra chi ha diritto a fare domanda di protezione e chi viene rimpatriato, i cosiddetti: migranti economici.
In questo modo viene messo in discussione il principio fondamentale della necessaria valutazione delle motivazioni personali alla base di ogni singola domanda d’asilo.
Qualche giorno fa Medici Senza Frontiere (MSF) – organizzazione internazionale non governativa, la cui mission è di portare soccorso sanitario ed assistenza umanitaria in caso di conflitti, epidemie, disastri naturali e nelle zone del mondo in cui il diritto alla cura non è garantito – ha pubblicato il rapporto “Hotspot in Grecia, la crisi costruita alle frontiere d’Europa“.
E’ un invito perentorio ai leader dell’UE a riconsiderare in maniera radicale l’approccio alla migrazione. Secondo MSF le attuali politiche di contenimento e deterrenza causano danni alla salute dei migranti, richiedenti asilo e rifugiati.
Il modello degli hotspot voluto dall’UE è progettato non solo per elaborare le domande di asilo dei migranti, ma anche per scoraggiare altri a cercare sicurezza in Europa.
Migliaia di uomini, donne e bambini sono bloccati in questa sorta di campi di concentramento in condizioni disdicevoli, senza alcun tipo di informazione sul loro status di rifugiati e sottoposti a dure procedure di asilo.
Ammontano a più di 180mila persone transitate per la Grecia, dopo la firma dell’accordo UE-Turchia del 2016. Un migliaio circa sono morte nel tentativo di raggiungere la terraferma, una ventina sono decedute negli hotspot.
Negli ultimi due anni le cliniche di salute mentale di MSF hanno curato 1369 pazienti affetti da gravi disturbi da stress post-traumatico e depressione. Moltissimi hanno manifestato tentativi di autolesionismo e di vero e proprio suicidio. Fra questi un congruo numero di bambini.
Molteplici sono i fattori da cui possono scaturire problematiche borderline. Fra questi le condizioni di vita disagiate, le farraginose procedure amministrative e di asilo, l’esposizione alla violenza e all’insicurezza, la separazione dai propri cari, i bisogni medici non risolti e la paura di essere deportati.
C’è da dire che l’UE ha investito ingenti risorse finanziarie per la politica degli hotspot. La non soluzione dell’annosa questione della migrazione, si è rivelata, nei fatti anche antieconomica. Ovvero, tanto per utilizzare un preziosismo linguistico: soldi buttati nel cesso.
E’ giunta l’ora che l’UE ed i suoi Stati membri pongano fine alle politiche di contenimento, che si sono dimostrate improduttive in tutti i sensi. Inoltre garantiscano ai migranti l’accesso all’assistenza urgente, alla protezione e alla ricollocazione sicura ed all’integrazione nelle comunità europee.
E, soprattutto, basta col presenzialismo retorico dei governanti, frutto della loro ipocrisia e sicumera. Se questi sono i risultati che cambiassero mestiere. Ne abbiamo fin sopra i capelli.