Lega e M5S hanno compreso e si oppongono alla cosiddetta corsa agli armamenti mentre FdI e Pd spingono su Draghi affinché non torni sui suoi passi. Papa Francesco ha detto la sua in una sola parola, più che efficace: vergogna. Il Governo inizia a sfilacciarsi ed il Premier non riesce a tenere coesa la maggioranza.
Roma – Habemus praeses! Dopo due giorni di consultazione online del M5s, gli iscritti aventi diritto al voto hanno confermato alla presidenza dei pentastellati Giuseppe Conte, con una percentuale pari al 94,19%. Il ritorno dell’ex Premier, che non è mai andato via, ha ringalluzzito gli animi di tanti grillini, piuttosto storditi dalla battuta d’arresto imposta dal tribunale campano.
“…Gli iscritti del movimento mi hanno riconfermato con un’indicazione forte e chiara – afferma il neo eletto Conte con un Tweet – un sostegno così importante è anche una grande responsabilità. Ora testa alta, ancor più coraggio e determinazione nelle nostre battaglie. Abbiamo un Paese da cambiare…”.
L’organigramma è completato da Danilo Toninelli, Fabiana Dadone e Barbara Floridia, che sono i tre nuovi componenti del Collegio dei probiviri del M5s. Laura Bottici, invece, è la nuova eletta del Comitato di Garanzia, attualmente composto da Roberto Fico e da Virginia Raggi.
Sul piano strettamente politico continuano i tentativi di mediazione sul Decreto Ucraina e, in particolare, sull’aumento delle spese militari. La maggioranza è, però, divisa riguardo la soglia del 2% del Pil per gli investimenti sulla difesa, primo fra tutti il M5s. Come avevamo evidenziato nei giorni scorsi su queste colonne.
Pronto, invece, FdI che si insinua fra le crepe della maggioranza. E lo fa presentando un proprio ordine del giorno con il quale chiede al Governo di tenere fede all’impegno, già assunto, di incrementare le spese per la Difesa. Tanto perché gli italiani navigano nell’oro.
Il Governo, però, valuta il voto di fiducia per salvare il provvedimento, azzerando così tutti gli emendamenti e gli ordini del giorno.
Inutile la ricerca di un’intesa tra il ministro dei Rapporti con il Parlamento Federico D’Incà ed i gruppi politici del transatlantico e delle due Commissioni Esteri e Difesa che dovrebbero approvare il decreto.
M5S e Leu sono rimasti sulle barricate rifiutando ogni tipo di mediazione, che sarebbe potuta entrare in un ordine del giorno ad hoc, a riprova dell’avvenuto accordo. La decisione di incrementare gli armamenti non è mai facile da prendere e tantomeno popolare.
Il sentimento della pubblica opinione, nella gran parte dei casi, è quello a cui ha dato voce Papa Francesco, il quale ha usato una parola semplicissima e mai cosi azzeccata: “vergogna”.
Non a caso perfino Salvini, dopo aver fatto a suo tempo largo sfoggio di sé attraverso immagini bellicose su tutti i social, ora sembra voler recitare la parte dell’agnellino, a disagio al solo sentire la parola armi, così diffusa nel vocabolario dei nostri giorni.
Non sorprende dunque che di fronte alla prospettiva di aumentare, e quasi raddoppiare, le spese per la sicurezza militare ci sia un certo trambusto nella sfera politica.
Decisioni di questo tipo non possono essere prese “con lo stomaco” o, in ogni caso, a cuor leggero perché chi se ne assume l’onere sa fin troppo bene che il costo di questi stanziamenti, almeno a breve termine, verrà ripagato con una riduzione della spesa sociale. Prospettiva allarmante in questo periodo di disagio e difficoltà per tante famiglie indigenti.
In ogni caso queste folli spese per bombe e mine sono, forse, l’inesorabile tributo che anche il nostro Paese finirà per pagare in nome dell’insicurezza collettiva di questi anni drammatici. Un’insicurezza che la tragedia ucraina ha reso drammaticamente evidente sotto gli occhi di tutti.
Lo spostamento di risorse dal welfare alle armi è un triste evento, per l’impatto sociale che ne deriverà e per le proteste della povera gente e di chi non ha più un reddito su cui contare con moglie e figli da sfamare, e spesso senza un tetto dove dormire.
Lega e 5stelle, nonostante le tante incoerenze, l’hanno compreso e si oppongono mentre Pd e FdI chiedono a Draghi di non indietreggiare. Il voto di fiducia allarma ma così facendo la tenuta del Governo non è assicurata. Infatti rischia di cadere ogni giorno che passa e la colla del Premier sembra non tenere più.