Padrone ti saluto: scelgo il lavoro che mi va

I licenziamenti non si contano più specie per i giovani in cerca di un’occupazione in grado di bilanciare lavoro e vita privata. Il posto fisso, alla Checco Zalone, non è più una prerogativa dei nostri figli e men che meno di quelli che hanno avuto la fortuna di trovarlo da tempo un lavoro. La pensione, invece, è ancora come l’Araba Fenice, che ci sia ognun lo dice, dove sia nessun lo sa…

Roma – La rivoluzione informatica ha completamente sconvolto il mondo del lavoro, causando cambiamenti notevoli nella struttura produttiva e nei rapporti sociali di produzione. In pratica si è passati, in maniera repentina, da un’organizzazione gerarchica ad una più snella, quasi volatile. Uno degli aspetti della categoria lavoro che ha più subito mutamenti è la sua temporaneità.

Scena dal film “Quo vado?” con Checco Zalone incentrato sul sogno di una vita del protagonista: il posto fisso.

Una volta il lavoro era fisso, duraturo nel tempo e accompagnava il lavoratore fino alla pensione. Adesso, quando c’è, è parcellizzato e a tempo. La pensione? Beh quella sembrerebbe proprio “una chimera“, date le condizioni. C’è da dire che, dai numeri a disposizione, sembra che il sogno del lavoro fisso non sia poi così diffuso in Italia, soprattutto nella fascia dei più giovani.

L’Associazione Italiana Direzione Personale (AIDP) ha diffuso dei dati secondo cui le dimissioni volontarie, tra chi è da meno tempo inserito nel mondo del lavoro in Italia, hanno raggiunto il 60%. E’ emerso che si cerca un maggiore equilibrio tra vita privata e lavoro con conseguenti condizioni economiche più apprezzabili.

Le dimissioni spesso sono l’unica soluzione.

Un ruolo fondamentale in queste scelte pare l’abbia giocato la pandemia con tutti gli effetti che conosciamo. Il numero degli under 40, che ha deciso di dimettersi dal lavoro, è aumentato del 26% negli ultimi due anni. Addirittura nel nostro Paese si sta sviluppando un fenomeno finora sconosciuto, quello di coloro che si dimettono dal posto di lavoro fisso. Ed è un aspetto che colpisce particolarmente perché è emerso in un contesto come quello italiano, in cui la cultura di sedia e scrivania sembrava essere un valore difficile di sradicare.

Il fenomeno delle persone che scelgono le dimissioni dal lavoro si è talmente esteso in tutte le società avanzate, che ha meritato l’attenzione degli studiosi di scienze sociali, che l’hanno denominato: Big Quit (grande rinuncia) o Great Resignation (grandi dimissioni). Dai dati diffusi dall’AIDP, risulta che i comparti maggiormente colpiti da questo fenomeno sono: l’Informatico e Digitale (32%); Produzione (28%); Marketing e Commerciale (27%).

Lasciare il posto fisso: fortuna o sventura?

I giovani compresi nella fascia d’età tra i 26 e 35 anni, che costituiscono il 70% del campione oggetto di studio, sono quelli più propensi a cambiare lavoro. Tra le varie cause alla base di una scelta così perentoria, ne sono emerse alcune più di altre: la ripresa del mercato dopo il lockdown; la ricerca di condizioni economiche più allettanti; la speranza di trovare un nuovo equilibrio tra vita privata e professionale.

C’è da dire anche che il nostro Paese si distingue per altre due caratteristiche: è quello con il più alto numero di Neet (Not in Education, Employment or Training) in Europa, ovvero gli under 30 che non studiano, né si formano e neppure cercano lavoro. Una percentuale molto alta che espatria all’estero in cerca di nuove opportunità.

E’ davvero possibile trovare il lavoro dei tuoi sogni?

Questi risultati sono stati confermati da un’altra ricerca “Employer brand research“, a cura dell’agenzia internazionale del lavoro Randstad. Si tratta di un studio annuale rappresentativo dell’Employer brand sulle percezioni del pubblico generale.

Ovvero dell’insieme di strategie di reclutamento e marketing allo scopo di costruire un’immagine aziendale coerente con l’identità dell’azienda come luogo di lavoro ideale in modo da attrarre e fidelizzare i dipendenti di talento.

Conciliare lavoro e vita privata: realtà o utopia?

Ebbene dalle ricerche è emerso che i lavoratori non sono più orientati dalla carriera e retribuzione. Almeno non in misura principale. Ma da quello che è stato definito dagli studiosi di organizzazione del lavoro work life balance” (equilibrio vita-lavoro), cioè la sostenibilità della vita lavorativa con quella privata.

La pandemia, con l’introduzione dello smart working sembra abbia accelerato questo processo. L’isolamento, i contatti sociali limitati, hanno probabilmente causato un sovvertimento di quello che sembrava un paradigma consolidato. 

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