E’ difficile parlare di corretta informazione quando si rimane a stomaco vuoto. Centinaia di giornalisti precari lavorano con la medesima paga dei braccianti agricoli sfruttati dai caporali nelle campagne. Da nove anni la legge sull’equo compenso è rimasta inattuata e chi l’ha lasciata marcire nel cassetto è complice di chi ritiene che le cose debbano rimanere cosi. Una vergogna per una nazione che si considera civile.
Roma – Non passa giorno in cui non si parli di pandemia e vaccinazioni. D’altronde non può essere che così, considerato lo sconvolgimento sociale che ha generato il famigerato coronavirus. Tutti temi meritevoli di essere trattati, viste le conseguenze che stiamo ancora subendo sulla nostra pelle.
Può capitare che in questo contesto non venga dato risalto a fatti che lo meriterebbero a prescindere. Ad esempio, nel febbraio scorso, il noto editore Francesco Gaetano Caltagirone ha deciso di adeguare al ribasso i compensi dei cronisti delle edizioni locali de Il Mattino di Napoli a quelli de Il Messaggero di Roma, altro giornale di sua proprietà. E non è finita qui.
L’editore avrebbe chiesto ad ognuno dei giornalisti di firmare per accettazione le nuove tariffe. Altrimenti i colleghi avrebbero corso il rischio di non entrare nella piattaforma editoriale che permette di recapitare gli articoli.
Sotto le 2500 battute dunque si passa da 9 a 7 euro a pezzo. Quando i compensi dovrebbero essere aumentati di almeno cinque volte considerando fattori come l’incremento del costo della vita e tanti altri parametri mai applicati. Insomma 7 euro, alla stessa stregua dei braccianti agricoli, poveri cristi sfruttati dai “caporali” per una misera paga di 3 euro l’ora.
I cronisti si sono riuniti in un comitato, assistiti dal segretario del sindacato unitario giornalisti della Campania, Claudio Silvestri, e quello generale aggiunto della Fnsi, Mattia Motta. Quest’ultimo ha dichiarato senza mezzi termini che “…La presenza massiccia di giornalisti precari che coprono la cronaca di territori complicati implica rischi molto alti…“.
E’ in gioco la dignità professionale ed il diritto dei cittadini ad essere informati da giornalisti liberi ed indipendenti. Ma anche il diritto di ricevere un equo compenso (bisognerebbe dare concreta attuazione alla legge 233 del 2012 che dovrebbe essere riveduta, corretta e rafforzata nonché adeguata ai tempi per assicurare la sopravvivenza a migliaia di lavoratori) e non una vera e propria elemosina. Quasi come “novelli cafoni della notizia“, nell’accezione di Ignazio Silone che così definiva i braccianti che si spaccavano la schiena e venivano beffati dal padrone.
E’ l’ennesimo taglio dei compensi perpetrato ai danni di giornalisti che scarpinano tutto il giorno alla ricerca di informazioni corrette, precise e diffuse ai cittadini. E’ come essere considerati alla stessa stregua di una merce da smaltire quando non serve.
La stessa situazione è vissuta, ahinoi, da altre categorie. D’altronde è sempre la solita solfa. I Caltagirone di turno si dimostrano prenditori più che imprenditori, socializzano le perdite e privatizzano i guadagni. Con tutti i finanziamenti pubblici che hanno ricevuto finora e che noi, comuni mortali, stiamo continuando a pagare senza sapere che fine hanno fatto i soldi. E si permettono pure di diminuire le retribuzioni e costringere alla fame decine e decine di famiglie.
Tutto questo succede in un Paese considerato civile come l’Italia, mentre il 3 maggio scorso è stata celebrata anche da noi la giornata mondiale della libertà di stampa.
Istituita nel 1993 dalle Nazioni Unite per ricordare l’importanza di manifestare il libero pensiero e la libertà di parola, diritti sanciti anche dall’articolo 19 della dichiarazione universale dei diritti dell’uomo del 1948. Nonché dall’articolo 21 della Costituzione italiana.
Complice la pandemia, la libertà di stampa è in caduta libera in molte paesi del mondo. Secondo Reporter senza frontiere (organizzazione non governativa e no-profit che promuove e difende la libertà di stampa e di informazione) l’accesso alle informazioni e la libertà di stampa sono considerate gravissime, difficili o problematiche.
L’Italia si conferma al 41° posto. Preoccupanti sono anche gli attacchi nei confronti dei giornalisti e dei mezzi di informazione. L’Italia figura tra quelli in maglia nera, al 2° posto dopo la Russia per il numero di segnalazioni, seguita da Serbia e Regno Unito.
E’ quanto risulta dal Rapporto Annuale della Piattaforma del Consiglio d’Europa per la protezione dei giornalisti e la sicurezza degli operatori dell’informazione, presentato il 3 maggio scorso.
Si nutrivano dubbi in proposito? In un Paese come l’Italia in cui il territorio di 4 regioni del Mezzogiorno è controllato dalla criminalità organizzata con le istituzioni locali conniventi? Criminalità che ha esteso i suoi gangli letali per la democrazia anche al nord ormai da anni?
Una democrazia senza libertà di stampa non è più tale. Diventa democratura. Ovvero indossa l’abito democratico, ma il corpo è quello tristemente noto del regime autoritario.
Una stampa senza rapporti opachi con la politica e le lobby industriali è garanzia di libertà. Da noi le cose, purtroppo, non stanno cosi. Parte dell’informazione è asservita ai potenti di turno e ne è diventata portavoce.