L’apertura delle urne si avvicina, gli spot dei partiti si moltiplicano. Le coalizioni si scervellano, non senza attriti, sui candidati sindaci, mentre una pletora di rivali al consiglio comunale cerca uno scranno amministrativo. La corsa alla poltrona continua senza esclusione di colpi. Anche la mafia impegnata in campagna elettorale.
Palermo – La Sicilia è a tutti gli effetti “sorvegliata speciale”. Dall’esito del 12 giugno e delle regionali in autunno potranno gettarsi nuove basi per le elezioni politiche del 2023. A Palermo, in particolare, si accende la campagna elettorale delle amministrative, nell’attesa spasmodica che le due coalizioni di centrodestra e centrosinistra individuino i candidati alla presidenza della regione siciliana.
I metodi di scelta tra gli opposti schieramenti sono diversi. Primarie per il centrosinistra, nel campo opposto invece si tiene un tavolo comune, anche se traballante, per individuare il frontman. Quello che non cambia mai è lo stile adottato dalle due compagini durante la campagna elettorale.
Accade così che nel capoluogo siciliano il tema del voto mafioso riemerge con forza anche dopo le celebrazioni del trentennale della strage di Capaci, alle quali il candidato sindaco del centrodestra, Roberto Lagalla ha scelto di non partecipare onde evitare polemiche che potessero inquinare, con facili ed infondate strumentalizzazioni, un momento altamente simbolico e rievocativo.
Il conflitto non si placa e nel frattempo vengono rilasciate patenti di moralità concesse a luminosità alterna e in base alla convenienza. Insomma il clima di odio continua con Letta e Provenzano che invitano Lagalla a rifiutare con forza il voto mafioso e prendere le distanze da Dell’Utri e Cuffaro. Nonostante alle due richieste abbia dato risposte chiare in più occasioni la vicenda non si rasserena. Si tenta di strumentalizzare la questione morale e dipingerla a tinte fosche.
I toni usati rivelano l’importanza della sfida sull’Isola. Così Letta, appassionato dei film di Rocky Balboa, invita tutto il Pd ad avere “gli occhi di tigre”. Un exploit memore dei tempi in cui Bersani chiedeva ai suoi di “smacchiare il giaguaro”. La suggestione zoofila vuole forse infondere determinazione a tutta la sinistra. Le incongruenze politiche, però, permangono.
In tal senso va ricordato come durante le elezioni regionali del 2008 il Pd, dopo avere candidato e sostenuto come alla presidenza della regione siciliana Anna Finocchiaro che, perse le elezioni a vantaggio di Raffaele Lombardo, subito dopo si alleava con il presidente eletto dunque con l’Mpa. La destra in quell’anno inondava l’Ars con 62 deputati contro i 28 del centro-sinistra.
La giustificazione di allora era stata quella che il Pd in Sicilia doveva essere “…Vigile sentinella, ma anche protagonista incalzante del cambiamento…”. Magie e transumanze ormai dimenticate, ma che si sono riproposte anche a livello nazionale.
Poco importa se sempre nel 2008 veniva affermato da esponenti del Pd che la candidatura di Lombardo rappresentava “La perfetta continuità con il precedente governo, dove l’unico obiettivo è la gestione del potere in Sicilia…”. La citazione è, non a caso, proprio della Finocchiaro che aggiungeva:
“…Una concezione del potere fatta di occupazione della cosa pubblica, di inefficienze e di sprechi. Oggi [riferito al 2008, nda] tutto è uguale a ieri: Lombardo come Cuffaro…”.
I fatti parlano da soli. Che dire poi delle richieste a Cuffaro, fatte da esponenti del centro e della sinistra prima della presentazione delle liste, affinché sostenesse con la lista della “Dc Nuova” il candidato della coalizione del centrosinistra?
In questo caso, forse, se l’ex governatore avesse accettato avrebbe subìto meno attacchi. Fatto peraltro svelato in più interviste pubbliche dal commissario della Dc e mai contraddetto. L’oblio è dominante, e la cosiddetta “faccia tosta” è ormai di casa. Da anni a questa parte.