Se la guerra dovesse continuare il prezzo dell’energia salirebbe alle stelle. Dunque pensiamo ai combustibili che abbiamo sotto il nostro mare e nel sottosuolo di alcune regioni italiane. Finiamola con la dipendenza dagli altri. Cerchiamo di sfruttare al massimo ciò che possiamo produrre allentando le batoste delle importazioni. Cerchiamo anche di limitare gli sprechi diventando più parsimoniosi.
Roma _ La disumanità e la follia delle guerre non può essere mai giustificata. Siamo alle solite: l’inettitudine della nostra classe politica di comprendere per tempo i veri problemi della nostra economia è veramente straordinaria. Gridiamo “pace!”, preghiamo, c’è chi impreca, c’è anche chi invoca pesanti sanzioni mentre ci mostriamo stupefatti di tanta violenza e spirito di sopraffazione da parte di Putin. Ma non ci indigniamo ancora a sufficienza per essere privati, per l’incapacità politica dei nostri governanti che non si preoccupano di trovare risorse nel nostro stesso territorio.
La crisi Ucraina non è nata con le prime bombe di Putin, ma esiste da decenni. Da tempo si parla dell’enorme rischio che correvamo non solo nel dipendere per il 40 per cento dal gas russo, ma anche per il fatto che il propellente passava proprio per l’Ucraina.
Oggi è vittima di un’aggressione, ieri si diceva che manomettesse i tubi che attraverso il suo territorio trasportavano il gas dalle nostre parti. Quanta leggerezza nei giudizi.
I primi gasdotti con la Russia furono realizzati negli anni ’70 quando si chiamava U.r.s.s. mentre le nostre centrali per produrre energia elettrica bruciavano ancora petrolio. Da quegli anni non abbiamo fatto più nulla se non sostituire il petrolio con il gas e aumentare la nostra dipendenza dall’estero e, in particolare, dalla patria di Solženicyn.
L’ultimo gasdotto di una certa rilevanza lo abbiamo costruito in Puglia (Tap). Alcuni partiti lo hanno avversato in tutti i modi, pertanto le copiose lacrime di coccodrillo adesso sono davvero inopportune. Inutile lamentarsi, bisogna agire, creare, programmare sviluppo.
Preoccupa la guerra alle porte tra Europa e Russia ma preoccupano anche i problemi concreti che verrebbero dal conflitto e dalle sanzioni che verranno inflitte, a cominciare dalle ricadute sulle forniture energetiche.
Sulla carta, però, l’Italia può puntare su ben tre strade per far fronte all’emergenza: il gasdotto trans-adriatico TAP, l’incremento della produzione interna e il gas liquefatto (GNL), che potrebbero liberare il nostro Paese dalla dipendenza dal gas russo. Ed in maniera concreta.
Ormai i prezzi insostenibili degli ultimi mesi e le tensioni geopolitiche dell’Est Europa impongono un cambio di passo veloce. Dopo il blocco alle trivellazioni ed anni di polemiche e passi indietro, il Governo italiano è in grado, da tempo, di tracciare su carta uno dei tesori più importanti del sottosuolo.
Si apprende da fonti governative che il piano “PiTESAI” _ Piano per la Transizione Energetica Sostenibile delle Aree Idonee _ ha evidenziato le ricchezze inesplorate e non abbastanza sfruttate del sottosuolo, che sono pari al 42,5% del Territorio nazionale.
Nel bel mezzo di una grossa crisi sarebbe opportuno accelerare le trivellazioni e intensificare le estrazioni, che in molte piattaforme sono state sospese. Quindici in tutto le Regioni d’Italia interessate: Abruzzo, Basilicata, Calabria, Campania, Emilia-Romagna, Friuli-Venezia Giulia, Lazio, Lombardia, Marche, Molise, Piemonte, Puglia, Sicilia, Toscana e Veneto.
Potrebbero poi sbloccarsi una cinquantina di permessi di ricerca per quasi 12mila chilometri quadrati di territorio in Abruzzo, Basilicata, Calabria, Campania, Emilia-Romagna, Lombardia, Molise e Puglia. Altri permessi di ricerca per 14mila chilometri quadrati potrebbero coinvolgere Piemonte, Sicilia, Veneto e Marche.
Troppa burocrazia e lentezza, mentre si rendono indispensabili neutralità tecnologica e flessibilità per un Paese industriale come il nostro che ha “fame” di elettricità, allo stesso modo delle famiglie che chiedono gli alimenti basilari alla sopravvivenza.
Non dimentichiamo, e se ne facciano una ragione gli ambientalisti ed ecologisti di vecchio e nuovo conio, che il nostro Paese per aprire un termovalorizzatore (quello di Acerra) ha dovuto schierare i militari.
Eppure grazie ai rifiuti si produce energia elettrica e grazie alla loro termovalorizzazione non si spendono centinaia di milioni per inviarli all’estero. Adesso il dado è tratto, che cosa stiamo aspettando per fare da soli?