L’evoluzione digitale non conosce soste, né limiti. Le opere di cripto arte hanno raggiunto cifre da capogiro. Il quadro digitale più costoso è stato venduto all’iperbolica cifra di quasi 6 milioni di dollari. Jack Dorsey, fondatore di Twitter, è riuscito a vendere il primo twitt della storia postato sulla piattaforma per circa 2,5 milioni di euro.
Roma – “…Nemmeno dentro al cesso possiedo un mio momento…” cantava nel 1976 Francesco Guccini ne “L’Avvelenata”. Non si sfugge dalle grinfie del digitale. Ormai ci siamo rassegnati in quanto vittime della sua pervasività al dominio totale dell’informatica sulle nostre vite. E pare che abbia preso piede la concezione degli NFT (Not Fungible Token): i beni non fungibili.
L’economia ci insegna che un bene è fungibile quando può essere scambiato con ricchezze che abbiano la medesima funzione. Si pensi a un particolare tipo di cibo o al denaro. Il bene infungibile non può essere sostituito perché il suo valore inestimabile è l’unicità. Rientrano in questa categoria le opere d’arte, che possono anche essere copiate o fotografate, ma i pezzi originali restano tali.
Sappiamo tutti che con un click del mouse si riesce a procurarsi di tutto e a replicare un qualunque file con una semplice operazione di copia e incolla. Da qui è sorto il problema della proprietà intellettuale dei contenuti che passano per il web e di come tutelarla.
Per questi motivi sono sorti i token infungibili, che in pratica sono dei certificati che attestano la proprietà di un bene digitale. Ad esempio è capitato spesso ai navigatori dei web di scaricare, salvare una foto, un video oppure un file musicale e condividerli finché si desidera, spesso procurando nocumento agli autori originali, che a giusta ragione ne hanno ben donde.
Adesso, però, sono entrati in gioco gli NFT attraverso i quali viene associato un certificato univoco di proprietà alla copia originale di un file. In questo modo viene sancita l’unicità del bene utilizzato che si tramuta in un pezzo di grande valore. Ci sono siti specializzati che rilasciano i certificati attraverso una procedura da cui si ottiene il gettone digitale, una sorta di bollino che prova il riconoscimento di bene NFT.
L’iter si sviluppa in questa maniera: l’artista in questione può caricare su una di queste piattaforme una sua opera previo pagamento di una tariffa fissa, in genere tra gli 80 ed i 100 euro. Si ottiene così una blockchain, una sequenza che viene convalidata attraverso l’utilizzo di diversi computer e memorizzata su un registro apposito.
Il termine, che letteralmente significa catena di blocchi, si riferisce alle caratteristiche di una rete informatica di nodi e consente di gestire ed aggiornare, in modo univoco e sicuro, un registro che contiene dati ed informazioni, ad esempio transazioni finanziarie, in modo aperto, condiviso e distribuito senza la necessità di un’entità centrale di controllo e verifica.
I citati blocchi non possono essere modificati, associati ad azione specifiche, come uno scambio od un atto di vendita, e rappresentano la cronologia dei movimenti.
Questa tecnologia è già utilizzata per le cripto valute, valute virtuali che, secondo Banca d’Italia, costituiscono una rappresentazione digitale di valore ed sono utilizzate come mezzo di scambio o detenute a scopo di investimento. Possono essere trasferite, conservate o negoziate elettronicamente. Nonostante in questi ultimi tempi abbiano subite diverse batoste e un valore che è sceso a picco.
Il file, dopo essere stato certificato, può essere venduto quasi sempre in cambio di Bitcoin o Ethereum, le due cripto valute che vanno per la maggiore. La vendita avviene su siti appositi e, spesso, a conclusione di un’asta.
Si è scatenata così una sorta di vero e proprio campionato per collezionisti di arte digitale, disposti a tutto e a versare qualunque cifra pur di entrare in possesso di un file che diventa una vera e propria opera d’arte impossibile da riprodurre.
Si è innescato un meccanismo per cui le opere di cripto arte hanno raggiunto cifre da capogiro. Ad esempio, il quadro digitale più costoso è stato venduto all’iperbolica cifra di quasi 6 milioni di dollari. Inoltre Jack Dorsey, fondatore di Twitter, è riuscito a vendere il primo tweet della storia postato sulla piattaforma per circa 2,5 milioni di euro.
Gli esperti del settore sono convinti del grande potenziale dei token infungibili, tanto che potrebbero diffondersi su larga scala. Si prevede, infatti, che possano sostituire notai, avvocati, impiegati catastali e quant’altro nella necessità, ad esempio, di produrre atti di proprietà di beni fisici come una casa.
Se sarà così staremo a vedere. Il problema è che, sicuramente, le parcelle da pagare a questo tipo di professionisti saranno sempre esose. Su quest’aspetto, non c’è tecnologia che tenga!