Se Giuseppe Conte va avanti cosi salteranno tutti i programmi e gli appuntamenti in ambito europeo. Non si possono cercare numeri ad ogni occasione.
Roma – E’ corsa contro il tempo. Urge l’individuazione e la conseguente formalizzazione della “quarta gamba”, per estendere il perimetro della maggioranza dopo lo strappo di Italia Viva. Poi c’è da rispettare il serrato calendario degli impegni europei. E non sono cose da poco.
Bruxelles attende di ricevere il testo definitivo del Piano italiano di Ripresa e Resilienza al massimo entro metà febbraio, quando i regolamenti attuativi del Next Generation EU, già approvati dalle commissioni Bilancio e Affari economici, riceveranno il via libera dal Parlamento europeo.
A quel punto il convoglio del Recovery Fund potrà cominciare a mettersi in moto. I tempi di risoluzione della crisi politica, non ancora risolta per l’esiguità della maggioranza numerica che si è evidenziata al Senato, rischiano di entrare in rotta di collisione con le scadenze da rispettare e con il, conseguente, pericolo di compromettere gli aiuti europei.
La situazione è allarmante in quanto una maggioranza “arraffazzonata” non fa ben sperare. L’indicazione che viene da Bruxelles è, però, chiara. Lo ha esplicitato il vice presidente esecutivo della Commissione, Valdis Dombrovskis, il quale riferendosi non solo al nostro Paese, ha detto in maniera perentoria che c’è ancora molto lavoro da fare.
Occorre, in particolare, definire le stime dei costi dei singoli progetti e gli obiettivi intermedi, al cui rispetto è strettamente collegata l’erogazione delle tranche semestrali del Recovery Fund. Le somme vanno, comunque, impegnate entro il 2023 e le risorse spese entro il 2026.
In pratica non c’è più tempo da perdere, anche perché occorre uniformare le necessarie riforme, alle raccomandazioni che la Commissione europea ha inviato nel 2019 con l’indicazione precisa dei settori in cui occorre intervenire.
Al tempo stesso nel Piano va indicata con precisione la struttura di coordinamento a cui dovrà essere affidato il compito di pilotare l’intera operazione. Il tutto, comunque, entro metà febbraio. Poi entro aprile è atteso il piano dettagliato, con annesso il relativo crono-programma.
In effetti occorre potenziare il capitolo delle riforme, poiché l’unica voce ad essere dettagliata con precisione nell’ultima bozza è quella della giustizia, peraltro insufficiente e soggetta al responso dell’attuale parlamento. Restano da riempire le caselle di riforme decisive come quella del fisco, della pubblica amministrazione e della concorrenza. Ormai non più differibili.
Il commissario europeo agli Affari economici, Paolo Gentiloni, è stato altrettanto chiaro: “…Penso che le autorità italiane siano consapevoli della necessità di rafforzare la proposta presentata – ha detto Gentiloni – servono specialmente due cose: un messaggio chiaro sulle riforme legate alle raccomandazioni Ue del 2019, nonché i dettagli sui tempi e gli obiettivi dei progetti…”.
Già in tempi “normali” l’iter di discussione preliminare, approvazione e successiva implementazione di riforme strutturali, degne di questo nome, richiede tempi lunghi, nella attuale situazione di stallo poi tutto si complica ulteriormente.
Peraltro anche l’impatto in termini macroeconomici, di riforme strutturali ben impostate e adeguatamente finanziate non è immediato. In ogni caso occorre accelerare da subito e per questo motivo la crisi politica va risolta ed in fretta.
In caso contrario potrebbero sorgere problemi non da poco per gli adempimenti successivi, primo tra tutti l’emissione di bond europei da parte della Commissione Ue per finanziare sul mercato i 750 miliardi del Recovery Fund.
In sostanza non si può fare finta di niente ed ogni progetto deve essere sostenuto da una stima, aggiornata, sull’impatto atteso in termini economici e sociali, oltre che ambientali. Anche in questo caso, il programma da inserire nel Piano dovrà essere rispettato.
A rendere ancora più urgente la soluzione della crisi politica, aperta con l’uscita di Italia Viva dal governo, vi è infine la questione della governance del Recovery Plan, che dovrà seguire l’iter procedurale. Quanto alla definizione della cabina di regia e dei soggetti istituzionali cui affidare il coordinamento del Piano, l’Italia è in ritardo, poiché gli altri principali Paesi europei hanno già individuato come strutturare la regia dell’operazione.
Se non vi è più traccia dell’originario “ponte di comando” indicato dal Governo nella fase preliminare di messa a punto del Piano, ora è tempo di definire, nel dettaglio, le modalità di costituzione della importante struttura di monitoraggio, nonché i soggetti a cui affidare l’arduo compito. Anche in questo caso il sostegno di un’ampia maggioranza parlamentare è fondamentale.
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