Gli investimenti sempre maggiori dimostrano come il cibo prodotto in laboratorio rappresenti il futuro dell’alimentazione. Le aziende tradizionali fanno sentire la loro voce e sollevano dubbi sulla legittimità di queste operazioni. Il futuro, anche per il nutrimento dell’uomo, è tutt’altro che roseo.
Roma – Da qualche anno si parla di carenza di risorse alimentari. Pare che non basteranno più a soddisfare il fabbisogno mondiale. Questo in parte è dovuto ai cambiamenti climatici ed in parte alla popolazione sovrabbondante. Già adesso una parte di quest’ultima, quella situata nelle zone più aride del pianeta, sta patendo la fame.
Diversi studiosi e startup si stanno attivando per la preparazione di cibo sintetico. I puristi rabbrividiscono al pensiero, e non solo loro. Eppure è la cruda cronaca. A Kalandborg, in Danimarca, si sta costruendo un opificio da 70mila metri quadrati della startup israeliana Remilk che produrrà su larga scala un latte sintetico.
Qualche tempo fa Impossible Foods, azienda statunitense che produce sostituiti vegetali e prodotti caseari, ha stupito il mondo con l’hamburger senza carne studiato in laboratorio.
La Remilk, attraverso la fermentazione microbica, produce alimenti alcolici come la birra o lievitati come il pane. Per quanto riguarda i sostituti del latte viene copiato il gene delle mucche da cui hanno origine le proteine del latte, per poi immetterlo nel lievito.
Il gene, come un allievo diligente, impara in autonomia come lavorare. Infine il lievito viene messo nei fermentatori, all’interno dei quali si moltiplica velocemente e produce proteine del latte uguali a quelle create in natura dalle mucche.
Mescolando queste proteine con minerali, vitamine, grassi e zuccheri non animali, si possono realizzare svariati alimenti, dalla panna montata fino ai formaggi stagionati.
Israele dimostra di essere all’avanguardia nel settore dell’agrifoodtech. Conta infatti qualcosa come 440 startup innovative. Nel settore dell’innovazione del campo alimentare c’è stata una crescita di finanziamenti pubblici del 150% rispetto solo a due anni fa, pari a ben 833,5 milioni di dollari.
Queste novità hanno entusiasmato ambientalisti ed animalisti. Per produrre in laboratorio la stessa quantità di latte di una fattoria serve il 99% in meno di suolo occupato. Proprio il consumo eccessivo di terreno è uno degli effetti più deleteri della società industriale.
Le note dolenti provengono dall’incertezza del mercato, essendo un settore ancora tutto da scoprire. Il mercato delle bevande vegetali, secondo Euromonitor, è ancora molto distante dal fatturato di quello del latte di mucca. Tuttavia si sono registrate percentuali di crescita negli ultimi anni.
Scontata la reazione del settore tradizionale dell’agroalimentare in Italia, che ha manifestato tutto il proprio malcontento. Il commento del consigliere delegato di Filiera Italia, Luigi Scordamaglia, non si è fatto attendere.
“…L’annuncio dell’apertura in Danimarca di un gigantesco impianto di produzione di latte sintetico – afferma Sordamaglia – rappresenta un pericolosissimo passo in avanti da parte di chi vuole distruggere ogni legame del cibo con la produzione agricola, proponendo un’unica dieta omologata e mondiale. È inaccettabile l’atteggiamento di chi arriva a proporre questi prodotti di sintesi come modelli a basso impatto ambientale e finanzia con soldi pubblici startup che in realtà spesso hanno dietro sempre le solite multinazionali globali…”.
La tematica è estremamente complessa e va a toccare interessi consolidatisi nel tempo. La penuria di cibo resta comunque un fatto acclarato. Ben vengano le alternative allo sfruttamento delle risorse agricole e degli animali. Tuttavia quando si investono ingenti risorse monetarie bisogna stare in campana. L’odore dei soldi a volte è nauseabondo, e seguirlo porta a scoprire dubbi interessi.