Mentre infuriano le battaglie fra i partigiani afghani e i talebani a Kabul si è ormai instaurato il clima del terrore. Decine e decine le esecuzioni sommarie (quelle che si sanno), liberati dalle carceri assassini e stupratori, arrestati tutti coloro che avevano aderito al nuovo governo, senza distinzioni. Gli arsenali americani (che dovevano essere distrutti per non farli cadere nelle mani del nemico) sono stati presi intatti dai terroristi che adesso possono contare su aerei, droni e sofisticate apparecchiature elettroniche per uso bellico. C’erano anche missili? La lunga scia di sangue è incominciata dall’aeroporto di Kabul.
“…Non possiamo restare in un Paese che si è arreso ai Talebani senza combattere...“. Queste sono le parole che il Presidente americano Joe Biden ha pronunciato quando era appena iniziato il ritiro delle truppe USA dall’Afghanistan, esattamente vent’anni dopo la guerra promossa e “formalmente vinta” dal suo predecessore George W. Bush.
Se durante il ferragosto del 2020 le pagine dei giornali ci parlavano degli “Accordi di Abramo“, quest’anno sono state occupate dalla crisi afghana che è letteralmente deflagrata due settimane fa quando i Talebani hanno riconquistato il Paese occupando la sua capitale Kabul, senza incontrare nessuna resistenza.
E se l’opinione pubblica internazionale ha attaccato con durezza Biden che viene ritenuto il principale responsabile della “débacle occidentale“, in molti sembrano dimenticare che il ritiro delle truppe americane è stato concordato da Donald Trump nel 2020, nella consapevolezza di regalare il paese proprio ai Talebani.
Possiamo rimproverare al nuovo Presidente di avere sottovalutato la solidità delle forze armate governative e dell’esercito regolare afghano (e di questo risponderanno senza dubbio i servizi di intelligence e i comandanti militari) ma Joe Biden paga colpe non sue e chi lo paragona al debole Carter sbaglia di grosso perché l’unico accostamento possibile è quello tra lui e Gerald Ford che ha subito passivamente, senza potere fare nulla, l’occupazione del Vietnam del Sud da parte dei Vietcong e delle forze comuniste.
E quello che sta accadendo ricorda non a caso proprio la frettolosa ritirata americana da Saigon dove gli statunitensi avevano evacuato la loro ambasciata grazie ad aerei che portavano in salvo i diplomatici “a stelle e strisce” decollando dal tetto dell’edificio.
E oggi come allora bisogna cercare di trarre in salvo coloro che hanno collaborato con le forze di occupazione, proteggendoli dalla vendetta e dalle prevedibili ritorsioni dei Talebani. Si cerca di organizzare un ponte aereo per consentire a più persone possibile di lasciare il paese ma rispettare la data del 31 Agosto, stabilita dagli accordi come termine ultimo per il ritiro, risulta sempre più difficile.
E mentre le forze occidentali stanno cercando di evacuare in tutta fretta, si guarda con preoccupazione al fronte interno dove vengono temute le decisioni dei nuovi padroni che sono con evidenza divisi tra una fazione moderata guidata dal Mullah Baradar (cognato del defunto Mullah Omar), che è stato liberato dalle prigioni americane proprio per guidare la difficile transizione, e una fazione più radicale ed estremista che ha deciso di accelerare i tempi occupando tutto il Paese, da Kandahar a Kabul, senza rispettare i termini concordati.
E se il portavoce dei Talebani cerca di rassicurare il mondo dichiarando che non ci saranno vendette, c’è già chi parla di una caccia all’uomo che sarebbe condotta casa per casa, per arrestare e giustiziare sommariamente tutti gli afghani che hanno simpatizzato e lavorato con gli americani. Sino ad ammazzare a sangue freddo anche il comico afgano Nazar Mohammed, in arte Khasha Zwan, che sino all’ultimo ha ridicolizzato i terroristi ridendo di loro dimostrando grande coraggio sino all’estremo sacrificio.
Sono molte le cose che oggi preoccupano il mondo: dalla sorte delle donne che ormai si erano emancipate e potevano lavorare e studiare, ai rapporti tra il nuovo regime con Al Qaeda e l’ISIS, augurandosi che il Paese non torni ad essere un “porto franco” per terroristi e organizzazioni jihadiste.
Tutto il mondo attende con trepidazione e si prepara ad affrontare l’emergenza umanitaria che inevitabilmente interesserà i paesi occidentali, ormai rassegnati ad accogliere profughi e sfollati che cercano di fuggire da un Afghanistan che torna ad essere quello del 1996, quando i Talebani guidati dal Mullah Omar vincevano la guerra civile e instauravano un regime teocratico dove vigeva la shar’ia, ovvero la legge dell‘Islam e del Corano.
Poi l’attentato suicida all’aeroporto di Kabul che ha causato un centinaio di morti, fra cui 13 marines americani, e 250 feriti. Questi sono i talebani. Gli stessi con i quali Giuseppe Conte vorrebbe instaurare un dialogo. Sono gli stessi criminali, ricordiamolo, che hanno ucciso il catanese Fabrizio Quattrocchi, 34 anni, medaglia d’oro al valor civile. E migliaia di altre persone.
Vent’anni di guerra gettati nella pattumiera. E questo è solo il tragico inizio.