Paghiamo oggi gli errori del passato ma è necessario cambiare registro per gli approvvigionamenti di carburanti. Bisogna poi spingere l’acceleratore sulla produzione nazionale che necessità però di investimenti seri per raggiungere i massimi livelli di erogazione. Comunque si spera nei negoziati e in tempi brevissimi.
Roma _ Energia cambio di rotta. La grave situazione determinata da Putin con l’aggressione dell’Ucraina impone all’Italia e all’Europa una diversa organizzazione dell’approvvigionamento energetico. D’altronde è sotto gli occhi di tutti che la scelta fatta nel recente passato, con il disinvestimento adottato per ragioni prevalentemente economiche in una fase in cui importare il gas da fuori costava meno, viene adesso rivalutata.
Adesso le condizioni sono decisamente diverse con il prezzo d’acquisto che continua vertiginosamente ad aumentare. Ma pozzi e trivelle non possono riattivarsi da un giorno all’altro senza investimenti importanti. Si stanno comunque pianificando le alternative per coprire meglio la domanda di gas che nel 2021 ha raggiunto la cifra di 76 miliardi di metri cubi.
Draghi nel prevedere la diversificazione dell’approvvigionamento ha indicato in prima battuta quella dei Paesi fornitori che potrebbero aumentare la dotazione attraverso i tre gasdotti principali che raggiungono l’Italia.
Nella missione dei giorni scorsi in Algeria, infatti, il ministro degli Affari Esteri Luigi Di Maio ha iniziato la trattativa e analoga richiesta è stata avanzata agli altri Paesi, per lo più maghrebini, dai quali importiamo il gas.
Una piccola quota arriverà comunque dall’aumento della produzione nazionale che purtroppo dai 17 miliardi di metri cubi del 2000 è passata attualmente a 3,4 miliardi, pari ad appena il 5 per cento dei consumi. Gli esperti, di contro, dicono che si potrebbe fare di più. E non sarebbe male.
Paradossalmente a causa del conflitto scatenato dalla Russia, si potrà invertire una tendenza economica rivelatasi costosa e non produttiva per l’Italia.
“…Certamente – ha affermato Draghi – non possiamo essere così dipendenti dalle decisioni di un solo Paese, ne va anche della nostra libertà, non solo della nostra prosperità…”.
Il Presidente del Consiglio è stato chiaro nelle comunicazioni alle Camere sugli sviluppi del conflitto sul tema della sicurezza energetica nazionale. La riflessione fatta dal Premier ha riguardato le scelte poco lungimiranti del passato e la strategia per pianificare le alternative, e non solo quelle a breve scadenza o per l’emergenza.
Comunque la prima rassicurazione che arriva dalla politica e dagli operatori del settore è che non ci sono rischi immediati di sofferenza, seppure dovesse chiudersi il rubinetto dalla Russia (la cui erogazione era stata limitata a poco meno della metà già prima del conflitto) che garantisce oltre 33 miliardi di metri cubi di gas, pari al 46 per cento delle nostre importazioni.
Tutto questo, banalmente, grazie all’arrivo temperature più miti e, presumibilmente, di un calo dei consumi, cosicché le riserve sarebbero in grado di sostenere la domanda per alcuni mesi.
Il rischio è che il ricorso agli stoccaggi possa intaccare i risparmi che normalmente vengono accumulati nella buona stagione, con la conseguenza che il problema potrebbe riproporsi per il prossimo inverno come lo stesso Draghi ha ammesso. E cosi è.
Va considerato poi che l’Italia è uno dei Paesi in Europa con le scorte strategiche più elevate, che garantiscono un ulteriore margine di sicurezza.
In ogni caso, salvo un aggravamento ulteriore del conflitto e delle relazioni tra Mosca e l’Europa che nessuno si augura, è molto improbabile che le forniture attuali possano interrompersi perché la Russia non può permettersi di perdere un cliente importante che paga con valuta pregiata quale è l’Italia. Mosca, in questo momento, non può permettersi tante altre cose e deve stare in campana per un possibile default ma questo Putin lo sa bene.
L’esclusione di “GazpromBank” dalla lista delle misure finanziarie restrittive adottate dall’UE, è la conferma che per ora le forniture proseguiranno. Almeno si spera ma le cose potrebbero cambiare se i negoziati di pace non avranno successo in tempi brevissimi.
Capitolo a parte sono le importazioni di GNL (gas naturale liquefatto, principalmente metano). Su questo genere di impianti si è abbattuta, però, la protesta di molte regioni. Tanto che in diverse realtà locali, come in Sardegna, viene avversato il progetto che prevede di ospitare alcune navi metaniere trasformate in unità di rigassificazione, mentre rimane ancora al palo in Sicilia l’impianto di Porto Empedocle.