La salute del monte Magnodeno versa in cattive condizioni e l’attività estrattiva dovrebbe essere sospesa da subito. Gli enti che dovrebbero proteggere l’ambiente e la nicchia ecologica pedemontana stanno a guardare mentre alcune aziende hanno iniziato un parziale recupero dell’area ma sembra più una beffa che un salvataggio.
Lecco – La montagna stuprata legalmente col consenso delle istituzioni. La stoltezza e l’avidità dell’uomo non conoscono né limiti, né confini. I due sostantivi sembrano appropriati per il caso del Monte Magnodeno nel lecchese. Un luogo straordinario dove la natura ha creato un paesaggio mozzafiato da far accapponare la pelle.
Ebbene cosa è successo a questo prodigio, situato a fianco del più noto monte Resegone, del quale Manzoni e Carducci hanno divinamente cantato la bellezza con versi sublimi? Questa zona è oltremodo nota per un’intensa attività di escavazione con ben tre cave attive per la produzione di calce ad uso principalmente siderurgico.
La Provincia di Lecco con la Conferenza dei Servizi del 14 maggio scorso ha dato parere favorevole al PAUR (Provvedimento Autorizzatorio Unico Regionale) per l’approvazione del progetto dell’ATE (Ambito Territoriale Estrattivo). In pratica la Unicalce Spa potrà allargare il fronte di Cava Vaiolo Alta, quello situato in vetta.
Ma dovrà – è scritto negli atti – necessariamente impegnarsi economicamente per il ripristino ambientale, infrastrutturale e la messa in sicurezza dell’intera area. Di fatto è come pretendere di avere la botte piena e la moglie ubriaca.
Per questi gravi motivi é sorto un comitato di cittadini che ha già raccolto migliaia di firme per porre all’attenzione della Provincia le criticità di questo progetto che autorizzerebbe l’escavazione fino al 2034. Ma l’Ente Intermedio ha fatto orecchie da mercante. Prendendo sottogamba i gravi rischi per la salute pubblica e dell’ecosistema.
La produzione di calce produce, infatti, l’emissione di circa 200.000 tonnellate di CO2 all’anno, tra le maggiori fonti di inquinamento atmosferico, oltre che di polveri e l’ammorbamento acustico legato alla forte rumorosità del processo di estrazione, frantumazione e trasporto della calce. Tale gravissima situazione, oltre a vanificare le grandi potenzialità turistiche, nega ai cittadini lecchesi e dei territori limitrofi la fruizione di un luogo importante sul piano naturalistico e ambientale.
Per cavare necessario infatti il taglio della vegetazione e di tutti gli alberi presenti comprese le specie pregiate, oltre all’asportazione degli arbusti, del manto erboso e del suolo fertile. Sa di beffa il fatto che si punti a piantare alberi in città, mentre, laddove questi già esistono, vengono estirpati di continuo senza che si possa fare nulla per salvaguardare le specie animali, che hanno in quei boschi costantemente minacciati, il loro habitat naturale, nonché un importante corridoio ecologico di collegamento del territorio.
In questi casi, secondo la tradizione italiana che ben conosciamo, questo tipi di investimenti vengono giustificati con la possibile creazione di posti di lavoro. Secondo il Comitato quest’ultimi saranno nell’ordine delle poche decine di unità. Il costo ambientale, invece, perpetrato dallo scempio provocato con le escavazioni è di gran lunga superiore agli eventuali ricavi. Le tasche piene come al solito saranno quelle dei furbi e dei profittatori.
Altro che creazione di posti di lavoro. A proposito dei quali una forte spinta la potrebbe dare una seria ed autentica riconversione ambientale. In tal modo i cittadini autoctoni e non, potrebbero fruire di un’area per molto tempo sottratta alla collettività locale e ai turisti italiani e stranieri.
E’ anche vero, per dovere di cronaca, che le aziende del settore hanno iniziato un parziale recupero ambientale dell’area sottoposta agli scavi. Ma appare più un camuffamento che una reale intenzione. Un po’ come buttare fumo negli occhi, per confondere le acque.
Cosa sono pochi fili d’erba piantati sui gradoni di roccia quando c’è l’enorme voragine della cava? Una profonda lacerazione aperta che corre il rischio di allargarsi, qualora le attività di escavazione continuassero. Un ulteriore oltraggio all’ambiente, alla popolazione ivi residente ed alla legge.
La Provincia in qualità di Ente Territoriale, infatti, esercita le funzioni amministrative, tra le altre, di difesa del suolo, tutela e valorizzazione dell’ambiente (Art. 19, T.U. 28 settembre 2000, n. 267). Bel modo di farlo, complimenti vivissimi.