Il segretario forse ci ripenserà ma le sue sono state dimissioni di "stomaco". Forse sarebbe meglio dire da "voltastomaco" considerando il fatto che mentre l'Italia implode il suo partito si fa gli affari propri.
Roma – La povertà assoluta torna a crescere e superando il record negativo del 2005. Purtroppo nell’anno della pandemia si sono azzerati i seppur minimi vantaggi registrati nel 2019.
Infatti le stime preliminari Istat del 2020 indicano valori dell’incidenza di povertà assoluta in crescita sia in termini familiari, con oltre 2 milioni di nuclei, che per singoli individui. Il Mezzogiorno resta l’area dove la povertà assoluta è più elevata ma l’incremento, nel 2020, è maggiore nel Nord del Paese e riguarda 218mila famiglie.
In generale l’incidenza, spiega l’Istat, cresce soprattutto tra le famiglie con una persona di riferimento occupata (7,3% dal 5,5% del 2019). Si tratta di oltre 955mila famiglie in totale, 227mila in più rispetto al 2019, con conseguente calo record della spesa per consumi delle famiglie.
Nel frattempo la politica invece di creare coesione si lacera al proprio interno per come ripetiamo da settimane. Stavolta un vero e proprio tsunami si è abbattuto in casa Pd con la decisione di Nicola Zingaretti di rassegnare le dimissioni da segretario.
La notizia è stata un fulmine a ciel sereno per tutti compresi i suoi più stretti collaboratori. Il segno che con il governo Draghi è finita una certa era politica lo dimostra il fatto che la notizia delle dimissioni, giunta mentre il Consiglio dei Ministri era riunito, non è stata commentata dai rappresentanti dei partiti di governo, né dallo stesso premier.
Solo qualche settimana fa, con Giuseppe Conte ancora seduto sulla poltrona di Palazzo Chigi, le dimissioni del segretario del Pd avrebbero aperto una crisi se non una spaccatura dell’intero esecutivo. La verità è che la centralità che Pd e M5S che avevano nel Conte 2, è stata soppiantata dalla Lega e FI.
Proprio questo è il problema. Perché è questo che gli oppositori interni rimproverano a Zingaretti: non avere visto in prospettiva insistendo invece nel portare avanti il piccolo perimetro dell’alleanza con il M5s e con la sinistra di Leu, senza più Italia Viva di Matteo Renzi.
Al leader toscano, infatti, è stato addebitato il complotto contro il Conte 2, mentre il mondo politico si stava già muovendo in altra direzione. Infatti proprio nelle stesse ore in cui Zingaretti meditava la sua mossa il M5s, in attesa di Conte nei panni di Caronte, assisteva ad un altro “strappo” di rilievo.
Quello di Davide Casaleggio che attraverso l’associazione Rousseau presenterà nei prossimi giorni un “Manifesto controvento” che assomiglia tanto al programma di un nuovo soggetto politico anti-contiano. Roba da matti. Tornando al Pd è ancora presto per disegnare lo scenario che si configurerà dopo l’assemblea nazionale già convocata per il 13 e 14 marzo.
Comunque dalle reazioni dei big del partito (da Dario Franceschini a Luigi Zanda, come da Graziano Delrio fino al vicesegretario e neo-ministro del Lavoro Andrea Orlando) sembra che la strada, nell’immediato, sia una riconferma della leadership di Zingaretti da parte dell’assise della prossima settimana.
Ma una eventuale reinvestitura potrà mettere a tacere le critiche per qualche giorno, non sarà cosi per l’immagine del segretario dimissionario. Insomma sarebbe un gioco al massacro che metterebbe in bilico la stessa credibilità del partito. Del resto quale futuro si prospetterebbe per il Pd che nell’era draghiana non può più contare solo sulla vocazione “europeista” per riproporsi come forza di governo alle prossime elezioni?
Quale sarà l’idea di Paese per i prossimi anni? Quali alleanze dovrà strutturare il Pd, oltre l’abbraccio con il M5s guidato da Conte, considerate le proprie percentuali di consenso nazionale? Le dichiarazioni di Zingaretti, annunciate attraverso Fb, rimangono scolpite sulla pietra:
“…Lo stillicidio non finisce. Mi vergogno che nel Pd, partito di cui sono segretario, da 20 giorni non si parli altro che di poltrone e primarie quando in Italia sta esplodendo la terza ondata del Covid – scrive Zingaretti – c’è il problema del lavoro, degli investimenti e la necessità di ricostruire una speranza soprattutto per le nuove generazioni…
…Visto che il bersaglio sono io per amore dell’Italia e del partito, non mi resta che fare l’ennesimo atto per sbloccare la situazione. Ora tutti dovranno assumersi le proprie responsabilità. Nelle prossime ore scriverò alla Presidente del partito per dimettermi formalmente. L’Assemblea Nazionale del Pd farà le scelte più opportune e utili...”.
Ma non è tutto qui. L’amarezza è incontenibile. Così Zingaretti rigira il coltello nella piaga e colpisce ancora: “…Mi ha colpito il rilancio di attacchi anche di chi in questi due anni ha condiviso tutte le scelte fondamentali che abbiamo compiuto – scrive ancora l’ex segretario – non ci si ascolta più e si fanno le caricature delle posizioni…”.
Zingaretti è un fiume in piena e chissà da quanto tempo ne aveva piene le scatole di un partito che, francamente, ha fatto il buono ed il cattivo tempo con tutti pur di rimanere a galla e quanto più distante dal proprio elettorato:
“…Ma il Pd non può rimanere fermo, impantanato per mesi a causa in una guerriglia quotidiana – scrive ancora Zingaretti – questo sì che ucciderebbe il Pd…”.
Il solito cliché è stato rispettato e servito, d’altronde ogni segretario dem ha sempre avuto una breve durata ed una uscita di scena con ripercussioni che hanno ulteriormente indebolito il partito.
Così dopo il sogno dell’Ulivo, che in qualche modo era l’idea accarezzata da Moro e Berlinguer, per realizzare un accordo tra le anime più popolari della società (cattolici progressisti e social-comunisti) si è andati a tentoni verso nuovi lidi, senza sapere esattamente che cosa cercare.
In ogni caso l’unione a freddo tra “Ds-Democratici di Sinistra” e Margherita (“Democrazia è Libertà”), sfociato poi nel Pd, sembra abbia colpito ancora. Il mondo sta cambiando. Cercasi strategia, progetti e nocchiero. Possibilmente nuovi di pacca.
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