Il nuovo esecutivo affronterà i temi più scottanti della società italiana che non può più fare a meno di nuove riforme per ripartire davvero. In attesa che il piano vaccinale diventi una cosa seria Draghi ha previsto immediati interventi economici, proroga licenziamenti e Cig.
Roma – La crisi è conclusa. Il nuovo governo è già al lavoro. Eppure l’aria che tira, a pelle, non è delle migliori. Non lo era stata nemmeno sabato scorso durante il giuramento di Draghi e dei suoi ministri. Sarà per il Covid, sarà per il cerimoniale diverso, sarà per il freddo, in tutti i sensi, ma la cerimonia, tradizionalmente avvolta da un clima di entusiasmi ed eccitazione, è sembrata forzata e surreale.
Non c’è stata l’atmosfera delle scorse volte al Quirinale. Non trasparivano le emozioni di sempre ma la formalità del rito. Un’investitura frettolosa piuttosto che un momento di assunzione di responsabilità davanti al Popolo italiano.
La speranza e l’augurio di un futuro migliore passano anche dai gesti, dalle interviste, dalle prime dichiarazioni a caldo dei neo-ministri e dagli inevitabili pettegolezzi di palazzo. Di tutto questo non c’è stato nulla. E non sono solo sensazioni. La “gelata” era palese, inutile negarlo.
Certo si dovrà lavorare per creare affiatamento, conoscenza e fiducia all’interno della squadra di governo, al fine di poterla trasmettere all’esterno, ma non sarebbe stato male iniziare da subito.
Anche sul fronte dell’addio del padrone di casa è stata quasi la stessa cosa. Dopo 960 giorni a Palazzo Chigi, Giuseppe Conte è uscito di scena con eleganza e sobrietà per fare largo al nuovo premier Mario Draghi, ingessato e dall’aria sempre autorevole da galantuomo fin de siecle.
Anche l’approccio con i social appare diverso. Infatti se l’esecutivo del Conte-bis aveva avuto complessivamente 13milioni e 600mila follower, la squadra di Mario Draghi può contarne attualmente 6milioni e 600mila, meno della metà dunque. Dei 23 ministri, oltre a Mario Draghi, sono 5 quelli che non utilizzano Facebook piuttosto che Istagram. E non è detto che sia un male.
Che i social network abbiano acquisito anche nel marketing politico una centralità e una capacità di generare consenso, nessuno ormai lo mette in dubbio. Ma la discesa in campo di Draghi ha modificato, oltre agli equilibri politici, anche questa tendenza. Tutto sembra cambiato e forse può essere un bene nella speranza che non siano solo apparenze.
Forse la comunicazione attraverso i social e la rete internet non interessa tutti i ministri di Draghi ed il premier stesso. A questi non fa gola, al contrario di molti altri che non possono farne a meno, la pubblicità politica virtuale né puntare al consenso del click, spesso effimero e falso.
E’ probabile che i “nemici” dell’account scelgano di tornare alla vecchia, cara “tribuna politica” per confrontarsi e guadagnare il consenso popolare. Chi può dirlo?
Adesso un nuovo governo c’è e dalle parole si attendono i fatti. Il neo Presidente è sostenuto da una maggioranza eterogenea ma compatta, nulla però che faccia pensare ad un reale “cambiamento”. Tecnici a parte, ovviamente. Altro tassello mancante la visione di un orizzonte comune, che si auspica non gravi sugli italiani con ulteriori dilazioni alle urgenze ormai quasi croniche.
D’altronde, per dirla tutta, è solo un governo di scopo, null’altro. A cui va riconosciuta una straordinaria potenzialità dovuta alla sua origine quirinalizia ed al profilo super partes, ma fino ad un certo punto, di Mario Draghi.
Un dato positivo: finalmente si potrà arrivare, o per lo meno avvicinarsi, alla legittimazione reciproca tra i principali partiti e movimenti politici, correggendo il difetto sistemico che causano i governi formati da soli burocrati, agganciati esclusivamente alla propria performance professionale.
In definitiva anche questi hanno una ideologia ed un orientamento politico, più o meno funzionale agli interessi economici e sociali. Paradossalmente lo scontro sul terreno politico sarà più marcato rispetto a prima ma potrà costituire l’occasione per fare un buon salto di qualità.
Certamente non si potrà lasciare ai ministri politici la gestione di risorse e benefit per accontentare gli italiani ed ai tecnici l’onere di pensare al futuro generazionale. Piuttosto dovrà essere il contrario. E le frizioni saranno inevitabili. Lo spettacolo è appena iniziato.
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