Rimane un caso freddo l’omicidio del presidente della Regione Siciliana

Dopo depistaggi e strane falle investigative la morte per mano assassina di Piersanti Mattarella rimane impunita. Anche l’ultima inchiesta sembra orientarsi verso un vicolo cieco. Intanto la famiglia dell’allievo siciliano di Aldo Moro pretende giustamente verità e giustizia. A cui si associano milioni di italiani onesti.

Palermo – Dopo 42 anni da quel tragico 6 gennaio del 1980 l’omicidio di matrice politico-mafiosa che ebbe per vittima Piersanti Mattarella, 45 anni, presidente della Regione Siciliana, rimane senza colpevoli. Mattarella era riuscito a concretizzare parte del suo piano politico volto a ”ripulire” le storture della pubblica amministrazione isolana.

L’auto nella quale è stato ammazzato Piersanti Mattarella.

Da presidente della Regione si era schierato chiaramente contro la mafia tanto da fare approvare diverse riforme del governo regionale all’insegna della trasparenza e della legalità. Mattarella riuscì a stravolgere le vecchie logiche corruttive degli appalti pubblici e dell’urbanistica introducendo norme a tutela dell’imparzialità.

Il presidente, originario di Castellammare del Golfo, aveva fatto di tutto per modificare il sistema dei collaudi delle opere pubbliche affidato precedentemente sempre alle solite persone, agli amici degli amici. La sua Giunta, con la legge urbanistica n. 71 del 1978, riuscì a limitare di molto gli spazi della speculazione edilizia nelle aree del “verde agricolo” bloccando gli interessi dei mafiosi e di una certa politica collusa e complice che su quegli interessi aveva costruito consensi e potere.

Il presidente Piersanti Mattarella, vittima di mafia e terrorismo

Nel febbraio del 1979 Pio La Torre, già parlamentare e sindacalista ucciso da Cosa Nostra il 30 aprile del 1982, indicò l’assessorato regionale all’Agricoltura come centro della corruzione isolana. Mattarella, invece di difendere l’assessorato e l’assessore, ribadì la necessità di seguire principi di correttezza e legalità nella gestione dei contributi agricoli.

Questa decisione di mettersi contro un assessorato connivente decretò la sua condanna a morte. Piersanti Mattarella era uscito dalla sua abitazione di via Libertà ed era salito a bordo della sua Fiat 132 per andare a messa, insieme alla suocera, alla moglie Irma Chiazzese e ai figli Maria e Bernardo. Il presidente rifiutava la scorta nei giorni festivi perché voleva che gli agenti li trascorressero con le loro famiglie.

L’uomo, appena afferrato il volante, veniva fatto oggetto di diversi colpi d’arma da fuoco sparati da almeno un paio di killer. Accanto a Piersanti si trovava il fratello Sergio, oggi Presidente della Repubblica, che lo prese tra le sue braccia prima che l’allievo di Aldo Moro spirasse.

Giusva Fioravanti

Mafia, terrorismo e politica avevano cosi distrutto per sempre il processo di rinnovamento e rigore morale messo in atto da Piersanti Mattarella le cui indagini furono subito condizionate da depistaggi e strani errori investigativi. Sino a giungere ad un eclatante nulla di fatto.

Nel 2019 la Procura di Palermo riapriva le indagini sulla morte del presidente della Regione Sicilia con nuove verifiche, in specie su una delle armi che lo avrebbero ucciso. Le pistole che avrebbero ammazzato Mattarella e il giudice Mario Amato sarebbero dello stesso tipo, Colt Cobra calibro 38 Special, ma non si può affermare con certezza che il presidente siciliano e il giudice antiterrorismo, assassinati rispettivamente a Palermo e a Roma, nell’arco di poco meno di sei mesi, nel 1980, siano stati uccisi con la stessa arma.

Gilberto Cavallini

Tanto per citare una delle stranezze del caso giudiziario che poi era stato chiuso con una sentenza definitiva di condanna della Cupola mafiosa, quale mandante dell’omicidio, ma anche con l’assoluzione, passata in giudicato, dei due presunti esecutori materiali, i terroristi neofascisti Giusva Fioravanti e Gilberto Cavallini, quest’ultimo condannato come killer del giudice Amato.

La pista neofascista, basata su un presunto scambio di favori tra mafia e attivisti di estrema destra, si basava sul riconoscimento di Fioravanti da parte della vedova Irma Chiazzese, che era col marito quando accadde l’omicidio. Insomma un ennesimo vicolo cieco che non portò mai da nessuna parte:

Piersanti Mattarella, nipote della vittima

”… Dopo 42 anni la mia famiglia ha diritto di conoscere finalmente la verità sull’omicidio di mio nonno – ha detto Piersanti Mattarella, nipote della vittima –  non abbiamo mai avuto alcuna notizia da parte della Procura di Palermo sullo stato delle indagini. Ora, però, chiediamo verità e giustizia. Tra pochi giorni i due titolari dell’indagine, il Procuratore Francesco Lo Voi e il suo aggiunto Salvatore De Luca lasceranno il Palazzo di giustizia per guidare altre Procure. Che cosa è successo sotto casa nostra davanti agli occhi dei miei?..”.

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