Giorgia Meloni ha tentato il tutto per tutto ma i numeri del no hanno superato quelli del si. Dunque punto e a capo, e che gli italiani si arrangino tanto le cose rimangono come sono. E in pochi hanno voglia di cambiare in meglio. Adesso vedremo che cosa succederà con la legge elettorale. Rimarrà quella che c’è oppure si andrà al voto con una nuova normativa? Ma chi ci crede.
Roma – Altra riforma bocciata, altro giro nella grande giostra delle leggi che non vedranno mai la luce. Stoppato sul nascere il disegno di legge sul presidenzialismo. La Camera dice no alla proposta di legge costituzionale avanzata da Fratelli d’Italia. A battersi per la nuova norma, che avrebbe portato all’elezione diretta del Capo dello Stato, è stato il partito di Giorgia Meloni che credeva nella possibilità di spuntarla, ritenendo maturi i tempi. Invece gli italiani non potranno eleggere la prima carica dello Stato e dovranno accontentarsi di come stanno le cose.
Alla Camera sono stati presentati gli emendamenti soppressivi del Movimento 5 Stelle e Azione, mentre altre proposte di modifica erano a firma di Italia Viva e Forza Italia. Il provvedimento dei grillini è passato con 236 sì, 19 astenuti (tutti renziani) e 204 no. Insomma a favore ha votato solo il centrodestra, contrario il centrosinistra al gran completo.
Proprio agli alleati della Lega e di Forza Italia, Meloni aveva chiesto una prova di lealtà in Parlamento, dopo che in Commissione Affari Costituzionali l’assenza di Forza Italia e del Carroccio aveva portato all’approvazione dello stesso emendamento soppressivo approdato a Montecitorio. Eppure anche Renzi, in un momento di stallo nel dibattito su riforme e legge elettorale, era ripartito dal presidenzialismo. Ma evidentemente qualcosa non ha funzionato.
E dire che l’aveva fatto con un’iniziativa che aveva messo insieme alcuni esponenti di Italia Viva, diversi giuristi italiani e stranieri, fra cui Sabino Cassese, Ernesto Galli della Loggia e persino Luciano Violante. Nonostante questo sforzo la riforma del presidenzialismo ha preso direzioni diverse che hanno impedito di giungere a destinazione. Italia viva opta dunque per il bis del voto di astensione, dichiarandosi favorevole ad una riforma in senso presidenziale, ma contraria al testo targato Fratelli d’Italia.
Per il Pd la proposta di riforma è stata bollata dal Dem Stefano Ceccanti come “…Propaganda, soprattutto a dieci mesi dalla fine della legislatura…”.
Mentre il renziano Marco Di Maio, prudentemente, saluta e ringrazia:“…Non ci sono i tempi per approvare questa riforma. Detto questo, riconosciamo il merito a questa proposta di legge di aprire una discussione sulla possibilità di una riforma della nostra forma di Governo…”.
Ma Meloni stizzita argomenta in maniera chiara: “…Il presidenzialismo è la madre di tutte le riforme e per chi pensa, al di là dei proclami, che la sovranità davvero appartenga al Popolo e vuole una politica davvero capace di decidere, si deve assumere la responsabilità delle decisioni che prende. Chiunque ami davvero questa Nazione non può non fare in coscienza una valutazione approfondita di questa questione…”.
Parole che esprimono amarezza e solitudine. Purtroppo fin quando l’ideologia, ma sarebbe meglio dire il gioco delle parti, avrà il sopravvento ogni analisi e proposta verrà sempre giudicata con pregiudizio. Manca molto spesso la libertà di coscienza e l’obiettiva analisi di quanto sia anacronistico un sistema costituzionale determinato da faide parlamentari, che non rappresentano la volontà dei cittadini. Questa volta, però, la leader di Fratelli d’Italia sembra più cauta e sceglie di “lisciare il pelo” agli alleati della coalizione.
Anche nelle dichiarazioni la Meloni, infatti, non affonda il colpo e al contrario rimarca stranamente la convergenza del centrodestra. Sembra che dietro al voto di Montecitorio sul presidenzialismo si celi la riforma del sistema elettorale del Senato, da regionale a circoscrizionale. Proprio la stessa Meloni, non a caso, afferma di “…Confidare nella compattezza del centrodestra nel respingere una proposta di legge elettorale in senso proporzionale…”. Insomma una “carezza” interessata. O che altro?
Del resto che la riforma elettorale sia in stand by, in attesa dell’esito delle elezioni comunali di giugno, è uno dei “rumors” più accreditati nei Palazzi della politica.
Infatti è proprio il ministro D’Incà che rinvia ogni discussione a dopo le amministrative, per capire se c’è o meno un percorso comune su cui basare un miglioramento della legge elettorale attuale. Quindi al di là delle riforme costituzionali, il vero nodo su cui i partiti si stanno “consumando il cervello” è proprio la riforma elettorale. E gli interessi non sono pochi.