Le primarie sono andate in cantina ma il Partito Democratico non convince. E convince ancora di meno la propria base elettorale quando si dichiara alleato del Movimento di Grillo. Vecchio o nuovo che sia. Quando il Pd si schiera invece contro i grillini per esigenze di schieramento le cose vanno meglio. Tutto questo mentre a destra ci si prepara per un partito unico che pare voglia soltanto Berlusconi.
Roma – Le primarie del centrosinistra sono già archiviate ma gli effetti reali, al di là delle dichiarazioni di circostanza, danno segnali poco incoraggianti per un PD che non riesce ad aprirsi alla propria base, ma anche oltre, con candidati realmente fuori dall’establishment.
In effetti si è trattato di un vero referendum sui candidati già scelti “a tavolino” dal Nazareno e per l’indicazione dei futuri assessori.
D’altronde le stesse parole di Letta sono state più che esaustive:“…Il successo di Lepore e di Gualtieri dimostra l’importanza di non aver avuto paura…”, e testimoniano, senza alcun dubbio, che se il popolo avesse investito su candidati alternativi sarebbe stata una tragedia per i dirigenti.
Infatti a Roma la senatrice Monica Cirinnà, peraltro una delle poche donne candidate e con tutte le carte in regola per essere eletta, è stata indotta a rinunciare per non mettere in pericolo il successo dell’ex ministro dell’Economia già investito dal “bord” dei democratici.
Vedremo tra due anni, quando si dovrà tornare alle urne per eleggere il nuovo Parlamento, se la strategia di Letta avrà avuto successo. Ma se davvero il quadro dovesse ricomporsi attorno a un nuovo bipolarismo, con il centrodestra da una parte e il centrosinistra con PD e M5s dall’altra, sarà proprio lo strumento delle primarie ad esserne vittima.
In ogni caso diversamente dalla Capitale, a Bologna, il successo della giovane candidata renziana e sindaca di San Lazzaro, Isabella Conti, con il suo 43% rappresenta un campanello d’allarme per il PD. Questo perché insiste ancora una buona fetta di elettori tradizionali del centrosinistra che non si riconosce nella strategia dell’alleanza con il M5s e vorrebbe un rinnovamento di classe dirigente. Con tutte le ragioni di questo mondo.
Ad ogni modo la vittoria di Lepore, che ha ricevuto nei giorni scorsi l’endorsement dello stesso leader in pectore del M5s Giuseppe Conte (al momento in rotta con Beppe Grillo tanto da rinviare la costituente del nuovo Movimento) conferma a Letta che la strada per arrivare a battere il centrodestra è quella giusta anche se ancora irta di ostacoli. I pentastellati appoggeranno dunque Lepore già al primo turno e a Napoli c’è già un candidato comune: l’ex ministro Gaetano Manfredi.
In altre città, di contro, si capovolge tutto. Infatti a Milano e soprattutto a Roma e Torino, il PD ed il M5s andranno alle urne da alleati-nemici. Un trionfo della coerenza, non c’è dubbio.
Particolarmente difficile appare la sfida romana per Gualtieri, il quale oltre a dover correre contro la sindaca uscente Virginia Raggi, sostenuta solo dal M5s, dovrà vedersela anche con Carlo Calenda, ex ministro e leader di Azione, che si è rifiutato di correre alle primarie.
Con il rischio però che il voto del centrosinistra si disperda mandando al ballottaggio, contro il candidato del centrodestra Enrico Michetti, proprio la sindaca uscente.
Chi prenderà meno voti, tra i due ex ministri, sarà l’artefice della debacle. Comunque ancora la fusione fredda tra PD-M5s è una alleanza da sperimentare. A tutt’oggi l’unione sembra piuttosto ballerina e fragile.
Un nuovo centrosinistra è improbabile e risulterebbe molto difficoltoso e a geometria variabile farlo ex novo, anche con l’avvento di Giuseppe Conte come leader del M5s 3.0. Sempre che faccia pace con Grillo.
L’incoronazione dell’ex premier dovrebbe arrivare, tramite piattaforma, nei prossimi giorni, ma già da adesso la competizione interna tra Conte e Letta è molto forte e rischia di cannibalizzarsi.
Infatti ognuno cerca di strappare all’alleato-avversario nicchie di elettorato per ottenere un’egemonia che serve a poco. Tutto questo ambaradam mentre a destra si cerca addirittura di costituire un partito unico sul modello francese. Berlusconi accelera, Salvini frena, Meloni parla d’altro. Anche in questo caso la perdita di identità dei singoli partiti diventa quasi un campo minato. E non è detto che si riesca ad uscirne indenni.