La strage di via d'Amelio ha segnato la linea di demarcazione fra la vecchia e la nuova mafia ma anche tra vecchi e nuovi accordi che una certa politica ha siglato con la criminalità organizzata i cui segreti rimangono ancora ben nascosti.
Palermo – Sono passati 28 anni dalla strage di via d’Amelio nella quale persero la vita Paolo Borsellino e cinque dei sei membri della sua scorta: Agostino Catalano, Walter Eddie Cosina, Emanuela Loi, Claudio Traina e Vincenzo Fabio Li Muli. I cinque agenti stavano accompagnando il giudice in casa della madre a cui aveva chiamato preannunciando la sua visita. La scorta era diventata un’appendice alla famiglia del magistrato, basta ricordare le parole di Agnese Piraino Leto, moglie del procuratore caduto:
Ti potrebbe interessare anche ————>>FIRENZE – RELAZIONE SEMESTRALE DIA: CRIMINALITA’ E COVID AFFARI D’ORO. CALLERI: A FIRENZE MAFIA E ‘NDRANGHETA A BRACCETTO.
“…Erano persone che facevano parte della nostra famiglia – ha sempre detto Agnese, scomparsa nel 2013 – condividevamo le loro ansie e i loro progetti. Era un rapporto, oltre che di umanità e di amicizia, di rispetto per il loro servizio. Mio marito mi disse – quando decideranno di uccidermi i primi a morire saranno loro – per evitare che ciò accadesse Paolo spesso usciva da solo a comprare il giornale e le sigarette quasi a mandare un messaggio ai suoi carnefici perché lo uccidessero quando lui era solo e non in compagnia dei suoi angeli custodi…”.
Ti potrebbe interessare anche ————>>ANTIMAFIA – BEPPE ANTOCI: LAVORO E CULTURA DELLA LEGALITA’ MA I BOSS RITORNINO IN GALERA.
Gli agenti sono stati insigniti della medaglia d’oro al Valor Civile per aver assolto il proprio compito con grande coraggio e assoluta dedizione al dovere pur consapevoli dei gravi rischi a cui si esponevano a causa della recrudescenza degli attentati contro rappresentanti dell’ordine giudiziario e delle Forze dell’Ordine. L’unico sopravvissuto di quel giorno è l’agente Antonino Vullo il cui ricordo dell’evento delittuoso, ancora oggi, gli sconvolge la memoria:”…Il giudice era sceso dalla blindata e stava per fumarsi una sigaretta – racconta Vullo con estrema commozione – i ragazzi si sono messi a ventaglio intorno a lui per proteggerlo, come sempre. Sono entrati nel portone, poi… Sono uscito dall’auto distrutta. Ho camminato e camminato. Ero disperato, vagavo. Gridavo. Ho sentito qualcosa sotto la scarpa. Mi sono chinato. Era un pezzo di piede. Mi sono svegliato in ospedale. Ogni volta, quando cade l’anniversario, sto malissimo…”.
Ti potrebbe interessare anche ————>>BUSTO ARSIZIO – FATTURE FALSE PER LA ‘NDRANGHETA: IN GALERA CONSIGLIERE COMUNALE.
Poi tutto il resto. Indagini, depistaggi, l’agenda rossa scomparsa, l’attribuzione dell’eccidio esclusivamente alla mano mafiosa, il ruolo dell’intelligence, di alcuni magistrati e di tanti uomini delle istituzioni che, in concorso, di adoperarono per nascondere una verità che col tempo si è fatta sempre più evidente: la strage di via D’Amelio non era stata soltanto opera di cosa nostra. Una strage di Stato, senza esagerare. Con boss e pentiti, veri o presunti, certamente colpevoli ma non solo. Una strage che ancora oggi rivendica una giustizia giusta:
Ti potrebbe interessare anche ————>>REGGIO CALABRIA – OPERAZIONE ANTIMAFIA “PEDIGREE”: IN MANETTE 12 AFFILIATI ALLA ‘NDRANGHETA.
“…Pensiamo che non sia opportuno che in via D’Amelio vengano le persone che hanno perso il diritto di ricordare Paolo – ebbe a dire Rita Borsellino durante una delle tante commemorazioni – è una polemica che non ho voluto, ma qui deve venire chi sente il bisogno di farlo, anche se sono poche persone…Non ho mai attaccato le istituzioni, semmai sono le persone che talvolta occupano dei ruoli da cui dovrebbero essere allontanate…Quando la verità sembrava a portata di mano e invece è stata occultata per costruirne un’altra, a chi interessava e perché? Siamo vicini ai magistrati che lavorano su un terreno minato…“.
Ti potrebbe interessare anche ——–>>REGGIO CALABRIA – AL VIA IL PROGETTO “I-CAN” CONTRO LA ‘NDRANGHETA INTERNAZIONALE.
Infatti le prime investigazioni erano state depistate, ricostruendole ad hoc, sulle dichiarazioni del falso collaboratore di giustizia Vincenzo Scarantino che dopo molti anni ha denunciato i suoi carnefici in uniforme per le violenze subite. Estremamente importanti, ancora oggi, le dichiarazioni di Nino Di Matteo che aiutano a comprendere come sarebbero andate sul serio le cose. E quali interessi si celavano dietro l’eliminazione del compianto magistrato siciliano. Di Matteo, già Pm del pool che a Caltanissetta indagava sulla strage di via D’Amelio, è stato poi titolare dell’inchiesta sulla Trattativa Stato e Mafia e oggi componente del Csm. Il magistrato palermitano ha deposto come testimone nel processo per il depistaggio delle indagini sulla morte di Borsellino nel quale alla sbarra figuravano gli agenti di polizia Fabrizio Mattei, Mario Bo e Michele Ribaudo, per rispondere di calunnia aggravata:
Ti potrebbe interessare anche ————>>NICOSIA – FUNZIONARI PUBBLICI COLLUSI CON LA MAFIA. I NEBRODI IN MANO A COSA NOSTRA.
“…Non credo che la strage di via D’Amelio sia solo di mafia – ha detto il magistrato in aula – il depistaggio cominciò con la scomparsa dell’agenda rossa di Borsellino. E le indagini sul diario del magistrato partirono già il 20 luglio del 1992, il giorno dopo l’attentato rivendicando la condotta tenuta nella prima fase dell’inchiesta. Siccome l’ipotesi era che soggetti legati ai servizi avessero partecipato alla strage di via D’Amelio, avrei respinto di certo un eventuale loro tentativo di contribuire all’indagine. Noi non ci siamo fatti aiutare dai Servizi, li abbiamo indagati...”.
L’ex sostituto procuratore ha poi parlato del falso pentito Scarantino le cui dichiarazioni, anche quelle farlocche, servirono per deviare la direzione delle indagini:
“…È chiaro che l’agenda rossa di Paolo Borsellino è sparita e non può essere sparita per mano di Graviano (Giuseppe Graviano, boss di Brancaccio) – aggiungeva Di Matteo durante la sua deposizione – il mio impegno era finalizzato a capire per mano di chi fosse sparita.Abbiamo fatto il possibile per accertarlo, anche scontrandoci con reticenze bestiali sulla presenza di esponenti delle istituzioni nel luogo dell’attentato. Da qui sarei voluto ripartire per tante altre cose. Io ho fatto confronti drammatici, mi ricordo, dopo le stragi. Tutta l’indagine che è stata portata avanti con grandissima incisività da parte mia e dei colleghi Petralia e Palma. Io mi ero studiato le carte. Sono stati fatti anni di indagini, noi siamo arrivati a scontrarci con reticenze istituzionali da parte di qualcuno… O hanno mentito ufficiali dei Ros dei carabinieri o un funzionario di polizia. Io ho preteso di fare una richiesta di rinvio a giudizio…”.
Ti potrebbe interessare anche ————>>FAVIGNANA – FAVORI AGLI AMICI E CONTROLLI AI NEMICI: ARRESTATO IL SINDACO.
Un racconto preciso, puntuale, organico anche per quanto riguarda i tempi di esecuzione della strage ormai non più differibile perchè alcuni equilibri stavano per rompersi. Forse:
“…La strage fu accelerata – continua Di Matteo – noi avevano chiara una cosa: rispetto ai programmi originari di cosa nostra di uccidere Paolo Borsellino era intervenuto un fatto improvviso di accelerazione delle stragi mafiose. C’era una fretta di uccidere Borsellino. Parallelamente si attivarono una serie di investigazioni che riguardavano alcune anomalie o alcune acquisizioni relative alla strage di Capaci o di presenze di soggetti diversi da coloro che erano stati individuati all’interno di cosa nostra. Sulle causali ci furono più filoni uno dei quali si cominciò a concretizzare nell’ultimo periodo che ero a Caltanissetta… Un altro filone era quello del rapporto mafia-appalti, però noi avevamo chiara una cosa, cioè che rispetto ai programmi originari della mafia era intervenuto un fatto improvviso di accelerazione delle stragi…”.
Se per alcuni Scarantino era “volutamente” affidabile, per altri non lo era certamente, riscontri alla mano. Fra questi Ilda Boccassini, all’epoca dei fatti magistrato applicato a Caltanissetta:
Ti potrebbe interessare anche ————>>CORSICO – RIPULIVANO SALE SLOT, COMPRO ORO E BANCHE. 10 CRIMINALI IN CELLA.
“…Seppi dopo dei dubbi di Boccassini – evidenziava Di Matteo – non ci furono pause durante quegli interrogatori e lo ricordo bene perché a un certo punto era necessario per Scarantino rifocillarsi e io non gli consentii di uscire chiedendo di portare dei panini nella stanza in cui eravamo. Ci mettemmo in due angoli diversi e mangiammo e mentre eravamo lì pensavo: ‘Sto mangiando nella stessa stanza con chi ha detto di aver partecipato a un fatto per cui io ho pianto amaramente… Seppi delle note della Boccassini e delle sue osservazioni critiche sulla gestione del pentito Scarantino solo tra il 2008 e il 2010. Con la collega Boccassini non ho mai avuto la possibilità e la fortuna di parlare non solo delle stragi ma di indagini in generale. Per me era ed è un un magistrato da stimare moltissimo ma con la quale la conoscenza si limitava a incontri al bar...”.
Un vero peccato. Se i due magistrati si fossero frequentati più a lungo, magari per scambiarsi le loro impressioni sulla strage di via D’Amelio, forse la verità sarebbe stata più vicina.
Ti potrebbe interessare anche ————>>VIBO VALENTIA – SCOPERTO ORDIGNO AD ALTO POTENZIALE. DENUNCIATO PREGIUDICATO.
REGGIO CALABRIA – ‘NDRANGHETA STRAGISTA, L’OMBRA DEL CAVALIERE.