21 MARZO RICORDIAMO LE VITTIME DI TUTTE LE MAFIE

San Giuseppe Iato e le due strane coincidenze. Il ricordo non è una data sul calendario. Piuttosto esempio di vita e valore ideale

PALERMO – Nella giornata del ricordo di tutte le vittime delle mafie una strana, doppia coincidenza è balzata fuori da un vecchio registro di polizia. San Giuseppe Jato, una mezz’ora di strada da Palermo, ha dato i natali a Giovanni Brusca ed al suo mandamento del terrore. L’assassino di Giovanni Falcone e del piccolo Giuseppe Di Matteo ha steso un velo di sangue e di lutti nel suo territorio che, oggi, torna a riscattarsi con la gente per bene nonostante rimanga ancora molto da fare per contrastare un fenomeno deviante che, spesso, rialza la cresta. Ma se da un lato il paese siciliano ha dato i natali al sanguinario criminale, dall’altro ha dato le origini anche ad un eroe, morto ammazzato per mano mafiosa: Salvatore Mineo. Figlio di Giovanni e Maria Cavallaro, benestanti, il giovane Salvatore, una volta frequentate le scuole, nel 1913 era diventato esattore comunale. In quello stesso anno, particolare per le masse proletarie che si erano viste estendere il diritto di voto, Mineo si era impegnato in attività sociali e politiche a difesa dei lavoratori.

Giovanni Falcone.

Nel 1914 l’esattore comunale diventò leader del locale fronte democratico-riformista ricoprendo anche la carica di responsabile della Camera del Lavoro. Ben presto la sua attività politica si contrappose alla gestione mafiosa del civico consesso capeggiata dal sindaco Antonio Puleio, detto Ninu ‘u Latru, tanto per delinearne il profilo personale e politico. Nel 1915 l’Italia entrò in guerra e la mafia locale ebbe cosi la grande occasione di affamare la popolazione, gestire in maniera delinquenziale le risorse pubbliche rubando e rapinando le casse dello Stato e imponendo il proprio potere sanguinario. In quel tragico periodo chiunque avesse il coraggio di non sottostare alla volontà di Ninu ‘u Latru e dei suoi degni compari veniva prima intimidito e poi ucciso senza pietà. Salvatore Mineo non aveva certo paura e iniziò a denunciare crimini su crimini arrivando anche a scuotere le istituzioni locali, in larga parte complici e conniventi della cosca mafiosa. L’esattore comunale denunciò anche il primo cittadino tanto che la Prefettura di Palermo decise avviare un’indagine che, però, venne archiviata dai soliti poteri forti alleati.

Il prefetto Cesare Mori.

A guerra finita Salvatore Mineo suggerì ai contadini di chiedere ai latifondisti decine di ettari di terreno in affitto per creare lavoro e spingere la produzione agricola. Un vero e proprio affronto per il boss Puleio che non poteva più sopportare il coraggio di quell’uomo impavido e determinato che difendeva i diritti della povera gente. Non era più possibile tollerare uno sgarro del genere. Era il 29 maggio del 1920. Mentre l’esattore comunale parlava in piazza di problemi sociali con alcuni amici, due sicari gli spararono, a distanza ravvicinata e alle spalle, una decina di colpi di pistola. Stramazzato al suolo in un lago di sangue Salvatore Mineo rimase sul selciato per alcune ore prima che qualcuno decidesse di farsi avanti, recuperare il corpo e avviare le indagini.

La strage di Portella della Ginestra.

Soltanto nel 1926, col prefetto Cesare Mori, i responsabili del vile attentato furono arrestati e grazie alle testimonianze di alcuni cittadini onesti Salvatore Mineo ha potuto ottenere giustizia. La seconda coincidenza è che San Giuseppe Jato si trova tra Piana degli Albanesi e Portella della Ginestra. In quest’ultima località altri uomini, donne e bambini caddero sotto i colpi di assassini senza scrupoli il 1 maggio del 1947. Le vittime della prima strage dello Stato repubblicano rappresentano tutte quelle che verranno. Il ricordo non deve limitarsi ad una data del calendario, piuttosto erigiamolo ad esempio di vita, a valore ideale. Per sperare in un futuro migliore.

La lapide di Portella della Ginestra.
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