Mino il “cantante” deve morire. Firmato gli amici degli amici

L’omicidio rimane ancora insoluto ma le nuove indagini rappresentano una speranza, seppur flebile, per i familiari del giornalista che non si sono mai arresi nel tentativo di raggiungere la verità. Pecorelli sapeva di tutti quelli che contavano, nel bene e nel male. E le sue erano notizie sempre di prima mano. Divenuto personaggio scomodo per la politica collusa con la criminalità organizzata, il terrorismo, massoneria ed i servizi segreti deviati, non poteva vivere un giorno di più. Ma non è detta l’ultima parola.

Roma – A 43 anni dall’omicidio le nuove indagini tenteranno di accertare la verità sulla morte di Carmine Pecorelli, detto Mino, il giornalista trucidato con 4 colpi di pistola il 20 marzo 1979. Un terreno ancora minato quello dove si stanno muovendo gli inquirenti della Procura capitolina ma un colpo di fortuna di concerto con l’alta tecnologia investigativa esistono e non solo nelle fiction televisive.

Mino Pecorelli, giornalista d’inchiesta

La riapertura del fascicolo è stata fortemente voluta dal figlio della vittima Andrea Pecorelli e dalla zia Rosita, 87 anni, sorella di Mino:

”…Sarà una verità che esclude la pista politica e quella mafiosa – spiega l’avvocato Walter Biscotti, legale di fiducia di Andrea Pecorelli – per andare nella direzione, invece, degli ambienti di destra, della criminalità romana e dei servizi deviati…”.

Dunque in direzione di quel patto scellerato Stato-Mafia antesignano di quello che avrebbe portato, in tempi più recenti, alle bombe di Capaci e di via D’Amelio dopo una lunga scia di sangue fra gli uomini migliori delle istituzioni morti ammazzati:

Il cadavere del giornalista che aveva tentato, inutilmente, di difendersi

”…Intanto – aggiunge l’avvocato Claudio Ferrazza, legale di Rosita Pecorelli – al di là del risultato delle indagini in corso, c’è da essere soddisfatti del fatto che ormai, dal processo di Perugia in poi, è stato accertato che Mino Pecorelli non era un ricattatore come si è cercato di farlo passare per anni, non vendeva notizie per denaro, ma era un giornalista di qualità…”.

Anzi di più. Mino Pecorelli aveva “inventato” il giornalismo d’inchiesta. Un metodo di fare informazione, senza i mezzi telematici di oggi, in cui si rischiava la pelle tutti i giorni, dentro le redazioni ma, soprattutto, fuori. Infatti di Mino ci rimane soltanto l’immagine della sua Citroën CX Pallas verde, ferma all’angolo con via Tacito, con due ruote sul marciapiede, la freccia destra lampeggiante e il finestrino sinistro distrutto. Sul lato destro il corpo senza vita del cronista sessanese, direttore della rivista OP (Osservatore Politico, già agenzia di stampa, fondata nel 1968), adagiato sui due sedili anteriori in un lago di sangue.

L’ultimo ricordo di Mino. Le sue erano tutte notizie di prima mano che avevano fatto troppo scalpore

Sono le 20.40 circa di martedì 20 marzo 1979, Mino Pecorelli aveva cercato anche di difendersi tentando di impugnare la pistola che teneva nel cassetto porta oggetti. Qualcuno, che lo aveva seguito, era stato più svelto di lui. Il killer gli aveva sparato 4 colpi di 7.65. Il primo dritto in bocca, quella stessa bocca che, quando parlava, diceva esclusivamente la verità. Gli altri 3 alle spalle. Una 7.65 compatibile con quella che aveva sparato a Pecorelli verrà distrutta nel 2013 con tanto di verbale di alienazione mentre i 4 proiettili scompariranno, come per incanto, dal magazzino attiguo all’ufficio corpi di reato del tribunale di Perugia, sede dell’ultimo processo.

Adesso la strada è in salita per gli inquirenti romani che dovranno accontentarsi di fotografie. Il legale di Rosita Pecorelli ha richiesto ai Pm nuovi accertamenti balistici su alcune armi che furono sequestrate a Monza nel 1995 ad un esponente di Avanguardia Nazionale. Si tratta di una pistola Beretta 7.65 e di quattro silenziatori artigianali che saranno sottoposti ad analisi.

Mino aveva scoperto gli intrecci più intimi fra politica, mafia, massoneria e terrorismo

”….La perizia sull’arma che potrebbe avere ucciso Mino Pecorelli si farà – dicono i penalisti Walter Biscotti e Claudio Ferrazza – esiste ampia documentazione sia dei proiettili che della pistola poi distrutta. Ci sono foto a colori e prove di sparo con gli esiti accuratamente conservati. Quindi sarebbe comunque possibile eseguire una comparazione. Esiste materiale di buona qualità con il quale è possibile eseguire le comparazioni disposte dalla procura di Roma…”.

Giulio Andreotti, condannato e poi prosciolto per il delitto Pecorelli

Pare anche che le ricerche delle ogive nell’ufficio corpi di reato del tribunale umbro continuino dopo un primo sopralluogo dagli esiti negativi. Pecorelli dava fastidio e aveva scoperto i grandi intrecci fra politica e malaffare in cui avevano le mani in pasta i servizi deviati e gli estremisti di destra. La verità sulla sua morte risiede in quel ginepraio di interessi che coinvolgeva senatori, deputati, forse anche ministri, legati a doppia mandata con faccendieri, criminali, militari e 007 corrotti, fratelli del terrorismo nero. Mino, il “cantante”, doveva tacere. Cosi è stato.

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