Si è messa in moto la macchina del fango nei riguardi della leader del centrodestra destinata a guidare il Paese. E non finirà tanto presto. Purtroppo le pessime abitudini della sinistra non si smentiscono ma stavolta c’è ben poco da fare. Letta e i suoi hanno perso e se ne debbono fare una ragione. Gettare discredito e acqua sporca serve a poco.
Roma – Giorgia Meloni non si è ancora insediata che il tiro incrociato per abbatterla è già incominciato. L’ultimo che ancora fa notizia è quello della giornalista Rula Jebreal, che rispolvera vecchie storiacce sul padre della leader di FdI ostentando in tal modo solo un gratuito accanimento ed una sgradevole indifferenza per i tormenti di una famiglia. Solo perché probabilmente guiderà il Paese una donna con idee politiche lontane da quelle della giornalista, quest’ultima si è sentita in “dovere” di delegittimare, offendere e provocare. Pennivendoli e basta, come si dice. Inutile domandarsi perché molti elettori della sinistra hanno virato verso altri lidi.
Comunque la solidarietà verso la Meloni non si è fatta attendere. E’ arrivata trasversalmente da diversi leader politici. Ancora il fronte democratico del Pd però non si rassegna alla sconfitta, tanto che i vari front-man, che si alternano nelle interviste con dichiarazioni spericolate, tentano di delegittimare una vittoria netta e forte del centrodestra oppure elargiscono, senza alcuna parsimonia e con disinvoltura, patenti di inaffidabilità che determinano solo pregiudizio.
Il governo non si è ancora insediato ma non si lesinano i giudizi di incapacità e pericolo per la tenuta degli equilibri europei ed internazionali. Insomma una valanga di preventive diffidenze, che però non salvano i cosiddetti “radical-chic” dal giudizio impietoso e chiaro che è venuto fuori dalle urne. Il maldestro tentativo del Pd e di tutta la sinistra di considerarsi l’unico soggetto politico ad avere le “mani pulite” ed a possedere l’autorevolezza per governare è fallito e fallirà ancora se ci sarà rispetto, umiltà e vera passione per la costruzione di un progetto politico condiviso. Senza avere la frenesia del potere ad ogni costo, come peraltro già avvenuto in diversi territori.
Se coloro che si definiscono progressisti partissero dai propri punti deboli e dalla dirigenza che ha manifestato solo interessi pelosi e a breve termine sarebbe sicuramente un buon punto di partenza. Ora pensare soltanto alla sostituzione del segretario nazionale, in preparazione del congresso, senza analizzare il profilo partitico che si è ritagliato nel tempo significa condannarsi all’oblio e ad una lenta ma inesorabile agonia.
Tuttavia anche gli avversari della vincitrice delle elezioni dovrebbero riconoscere che milioni di donne hanno votato “Fratelli d’Italia”, convinte dal successo ottenuto, prima nel suo partito e poi nel centrodestra, dalla sua impostazione politica.
A differenza di molte personalità subalterne, Meloni non ha narrato in nome e per conto di altri. Ma ha dimostrato, piaccia o meno, che in politica una donna, come un uomo, se vale e crede nelle sue idee, non è obbligata a sottostare ed obbedire agli ordini dell’establishment. Meloni è stata in grado di fondare un partito, di radicarlo nel Paese, di allearsi con movimenti in Europa e di far diventare FdI da cespuglio irrilevante che era a forza egemone in Parlamento. Che poi questa evoluzione, o meglio questo consenso, possa d’un tratto scomparire o basarsi su percentuali modeste, è un rischio inevitabile che dipenderà da tante circostanze.
D’altronde il caso Renzi, Salvini, Grillo, solo per citare i leader più recenti, insegnano che il consenso è volatile e soggetto a tante variabili. Il cittadino, non ancorato più al voto ideologico, è alla ricerca disperata di forze politiche credibili, magari anche suggestive e bizzarre, per rompere l’incantesimo dell’autoreferenzialità. Il rischio povertà e vulnerabilità interessa tutti e non può trovare indifferente nessuno. Siamo ad un passo dal collasso economico. Speriamo che il nuovo governo riesca a riesumare visione e competenza, poiché non può continuare all’infinito la politica dei bonus temporanei. Ci vuole, insomma, una strategia d’urto che, partendo dall’attuale emergenza, passi ad una programmazione di interventi strutturali. Subito.