Le vittime del Covid sono morte due volte

Il Governo “dribbla” le precise responsabilità che gli competono anche nei confronti del precedente esecutivo con a capo Giuseppe Conte per quanto attiene la prima emergenza Covid. Con tutta la tremenda tragedia che si è portata appresso. La testa sotto la sabbia serve a poco se non ad evidenziare l’ennesima vergogna tutta italiana.

Bergamo – Ci sono delle immagini che sono fortemente significative, in quanto richiamano un avvenimento, un movimento o un processo storico. Ed è stato così anche per la pandemia. Chi non ricorda la lunga fila di camion militari che trasportavano bare di deceduti a Bergamo, durante la prima fase dell’emergenza Covid? Sono rimaste indelebili nei nostri animi come frammenti, fissi, stagliati, netti che ci ammoniscono più di qualsiasi commemorazione paludata e ipocrita.

Il 31 luglio scorso, a Bergamo, davanti alla sede del Municipio si è svolta una manifestazione di protesta di una parte dei familiari delle vittime del Covid. Il motivo? La decisione che pone diversi paletti al lavoro delle Commissioni Parlamentari, limitando l’indagine solo fino a quanto accaduto prima del 30 gennaio 2020. Miracoli della Politica italiana: è il giorno precedente la dichiarazione dell’emergenza nazionale.

Risultato di questa lungimirante decisione? Secondo l’avvocato Consuelo Locati, portavoce dei familiari delle vittime, in questo modo “…La Commissione d’inchiesta è diventata una farsa, perché limitata soprattutto a Paesi da cui ha avuto origine il virus. Un chiaro, lapalissiano tentativo di insabbiamento, di cui noi italiani siamo maestri…”.

Avvocato Consuelo Locati

Chi non ricorda la definizione, negli anni ’80, di porto delle nebbie riferita alla cittadella giudiziaria di Roma? In quella sede le sentenze prendevano vie tortuose e limacciose per essere poi depauperate nella loro essenza. La locuzione prende spunto dal libro omonimo di Simenon del 1932, in cui il commissario Maigret è alle prese con un vero rompicapo, che si sviluppa in un ambiente melmoso, nebbioso e pieno d’insidie.

Ecco quest’ultime si sono presentate anche nel nostro caso, con la presentazione di emendamenti da parte dei Parlamentari bergamaschi, Albero Ribolla ed Elena Carnevali. L’effetto è stato il cambiamento della mission della Commissione che dovrebbe occuparsi solo di quanto accaduto in Cina prima del 30 gennaio. In questo caso una Commissione d’inchiesta siffatta non serve ad un fico secco, perché elide l’aspetto della gestione italiana e le eventuali responsabilità politiche.

Giorgio Gori

I rappresentanti delle famiglie, Paolo Casiraghi, Alessandra Raveane, Cassandra Locati e Antonella Dell’Aquila in una lettera aperta, hanno sottolineato che era stato proprio il Sindaco di Bergamo, Giorgio Gori, il 18 marzo scorso, giorno della commemorazione, forse preso dall’emozione, a lasciarsi andare:

“…Ciò che colpisce è che questi numeri sui decessi sono il doppio delle vittime ufficialmente accertateaveva detto il primo cittadino orobico – Sono deceduti nelle loro abitazioni o nelle case di riposo senza aver avuto la possibilità di essere sottoposti ad un tampone, perché in quel momento ce ne erano pochi ed erano sufficienti appena per i casi più gravi…”.

Tutto questo profluvio di retorica non gli è servito granché. Men che meno per chiedere al Premier Mario Draghi di farsi garante della verità che si deve a tutto il popolo italiano, in primis ai bergamaschi. Una ferita che ancora brucia è quello della mancata zona rossa della Val Seriana, che era stata falcidiata dal Covid. Infatti i rappresentanti delle vittime hanno continuato con il loro cahier de doléances:

“…Chiudere sarebbe stata prerogativa di tutti, compresi i Presidenti di Regione – hanno dichiarato i vertici del Comitato – ma anche di quei Sindaci per i quali invece non bisognava fermarsi. La gestione della crisi è stata più politica che sanitaria e sociale ed ha provocato i danni che conosciamo. Vogliamo la verità e non ci arrenderemo nemmeno davanti ai muri di gomma…”.

Alla manifestazione hanno preso parte anche i legali rappresentanti dei 500 familiari nella causa civile nei confronti di Governo e Regione Lombardia, nonché Giuseppe Marzulli, l’ex direttore del pronto soccorso di Alzano Lombardo. Il medico rifiutò l’apertura dell’ospedale dopo la scoperta dei primi pazienti positivi al Covid, durante la prima ondata.

Una decisione quest’ultima che è al centro dell’inchiesta per epidemia colposa della Procura di Bergamo. Il medico, nel frattempo in pensione, ha ribadito al sindaco Gori di prendere una decisione precisa: “…Una posizione netta e non ambigua sugli emendamenti che hanno posto un limite al mandato della commissione d’inchiesta per insabbiare quanto accaduto…”.

Con la politica dello struzzo di cui siamo professori nel Bel Paese, è più facile mettere la testa sotto la sabbia che assumersi precise responsabilità.        

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