Non è un caso che oggi lo stesso Menderes sia considerato un martire ed un eroe dal Governo di Ankara. La svolta autoritaria di Erdogan si richiama infatti all'Islam e al nazionalismo radicale. L'Unione Europea rimane distante.
Istanbul – Sono in pochi a ricordare che proprio oggi, sessantacinque anni fa, si svolgeva ad Istanbul in Turchia un terribile pogrom contro la minoranza greca.
L’impero Ottomano è stato un grande stato multietnico dove convivevano pacificamente Turchi, Armeni, Greci ed Ebrei sino a quando il Movimento dei Giovani Turchi “prendeva” il potere agli inizi del Novecento facendosi promotore di una ideologia panturca, ovvero tutta la Turchia ai Turchi e niente spazio alle altre minoranze.
La vittima sacrificale di tale politica furono gli Armeni, coinvolti tra il 1916 ed il 1917 nel primo genocidio moderno, ancora oggi negato dal governo di Istanbul che parla esclusivamente di massacri isolati senza alcuna volontà preordinata. Dopo la fine della Grande Guerra nasceva la Repubblica Turca con la guida di Mustafa Kemal Ataturk ed iniziava il processo di secolarizzazione del paese che rimarrà però sempre sensibile ai rigurgiti nazionalisti e radicali.
Nel 1950 diventava primo ministro Adnan Menderes, leader del Partito Democratico Turco che, pur essendo liberista in economia e filo-occidentale, strizzava l’occhio ai fondamentalisti religiosi favorendo la costruzione di centinaia di nuove moschee. Ed è proprio Menderes insieme alla struttura del suo partito a promuovere il pogrom del 6 settembre 1955: quello stesso giorno veniva diffusa la falsa notizia che i Greci avrebbero incendiato la casa natale di Ataturk a Salonicco e i Turchi scendevano in strada per vendicarsi.
Il Partito Democratico organizzava il trasporto di centinaia di militanti che viaggiavano in treno su vagoni di terza classe e raggiungevano Istanbul dall’Asia Minore occidentale. La rivolta aveva inizio intorno alle 17 e venivano colpiti soprattutto i greci (in parte minore anche Armeni ed Ebrei. I loro negozi erano stati saccheggiati ed incendiati ed una sorte analoga era toccata anche a scuole, farmacie e alberghi per non parlare delle Chiese Cristiane Ortodosse con i sacerdoti che venivano malmenati e in alcuni casi circoncisi con la forza.
Uomini e donne erano stati brutalmente abusati senza distinzioni e la violenza dei manifestanti aveva provocato fra le 15 e le 30 vittime. Le devastazioni terminarono solo intorno alla mezzanotte per l’intervento dell’esercito che inizialmente aveva tollerato i disordini. Menderes venne deposto dopo cinque anni in seguito a un colpo di stato dell’esercito che lo accusava di avere rinnegato i valori della Costituzione. Il premier venne giustiziato sull’isola di Imrali nel settembre del 1961, nello stesso carcere in cui oggi è rinchiuso dal 1999 Abdallah Ocalan ex leader del PKK.
Non è un caso però che oggi lo stesso Menderes sia considerato un martire ed un eroe dal Governo di Ankara, la svolta autoritaria di Erdogan si richiama infatti all’Islam e al nazionalismo radicale. Se infatti Menderes si era scagliato contro la minoranza greca, Erdogan indirizza i suoi strali verso la minoranza Curda, arrestando gli attivisti per diritti civili che vengono lasciati morire in carcere come il recente caso dell’avvocatessa Ebru Timtik.
E se aggiungiamo che la Basilica di Santa Sofia, sino a pochi mesi fa un museo aperto ai turisti, è tornata ad essere una Moschea dobbiamo concludere che la Turchia laica e moderna sognata da Ataturk è ormai solo un lontano ricordo. In Europa esiste un nuovo sultano con ambizioni neo-imperialiste che persegue una politica conservatrice e fondamentalista in campo religioso. Le lancette della storia stanno tornando pericolosamente indietro, servono urgenti rimedi e soprattutto coraggio da parte dell’Unione Europea.
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