Renzi si è dimesso dal consiglio di amministrazione di una società russa ma rimangono ancora in tanti i suoi colleghi, italiani e stranieri, che hanno interessi con la patria di Putin. L’Anci chiede le modifiche alla Legge Severino che più di una volta ha rovinato vita e carriere politiche e professionali di rappresentanti delle istituzioni poi assolti. Le riforme ancora ferme al palo.
Roma _ La situazione internazionale si mette male. Considerata l’escalation della crisi russo-ucraina l’ex presidente del Consiglio Matteo Renzi spinge affinché la “Nato e Ue indichino come inviato speciale, per parlare con Putin, Angela Merkel”. Servirà realmente a fermare Putin che non è l’unico responsabile di bombe e missili?
Intanto il leader di Italia Viva ha rassegnato le dimissioni dal consiglio di amministrazione di una società russa di cui faceva parte. L’indiscrezione è stata prima annunciata dal Financial Times e poi confermata dallo stesso partito del leader toscano. Renzi dunque ha chiuso, almeno formalmente, e con effetto immediato il Cda di “Delimobil”, il maggiore servizio di car-sharing russo, fondato dall’italiano Vincenzo Trani. Ma Renzi non è il solo ad avere interessi nella patria di Cechov e Dostoevskij.
Il quotidiano finanziario ricorda che anche altri ex politici ed esponenti delle pubbliche amministrazioni fanno parte di società russe, per esempio l’ex cancelliere tedesco Gerhard Schroeder che siede nel Board del colosso petrolifero russo Rosneft e già indicato per entrare in quello del colosso del gas Gazprom.
Ma anche l’ex premier francese Francois Fillon è nel Cda del gruppo petrolchimico Sibur. Inoltre l’ex cancelliere austriaco Christian Kern è nel Board di Russian Railways e l’ex ministra degli esteri austriaca Karin Kneissl è sul libro paga di Rosneft.
Intanto sul fronte politico interno Italia Viva perde un pezzo a Palazzo Madama, il senatore Leonardo Grimani ha mollato preferendo Azione. Il parlamentare umbro, uscito dal partito di Renzi lo scorso dicembre, ha incontrato nella sede di Azione il neo segretario Carlo Calenda e il presidente Matteo Richetti, che come Grimani è senatore. I tre pare si siano subito intesi.
“…Ho scelto di aderire ad Azione – spiega Grimani, eletto nel Pd – perché credo che in Italia vada rafforzata l’area riformista e liberal-democratica e questo partito si candida autorevolmente a costruire quello spazio. La leadership di Carlo Calenda conferisce al progetto credibilità e autorevolezza. Sono convinto che il Paese debba superare la deriva populista…”.
Si sprecano le parole di elogio per la scelta fatta dal senatore. Infatti Calenda, nel dare il benvenuto a Grimani, ne elogia la scelta “…Vanta un percorso riformista e ci aiuterà a radicare ulteriormente il nostro partito sul territorio…”.
Mentre Richetti, fa da eco e risponde: “…Con l’ingresso del collega Grimani si rafforza ulteriormente la nostra presenza al Senato, da domani al lavoro insieme…”.
Il Pd, nel frattempo, vive una situazione di malessere ed incertezza sempre più marcate per la posizione espressa da Letta al riguardo del referendum sulla Giustizia ed in particolare sulla Legge Severino. L’Anci, infatti, non ha gradito la sortita del segretario dem, a proposito dei due referendum esprimendo forte dissenso.
L’associazione dei sindaci italiani si ribella per la “netta contrarietà” manifestata da Letta alle modifiche sulla Legge Severino, che prevede una sospensione di diciotto mesi dal mandato amministrativo, seppur in assenza di una condanna definitiva e anche per reati minori, soprattutto per un reato dal profilo incerto come l’abuso d’ufficio.
Antonio Decaro, presidente dell’Anci, chiarisce il suo pensiero: “…La stragrande maggioranza di queste sospensioni decade alla loro scadenza – dice De Caro – e l’unica conseguenza che ne deriva è un grave danno per la vita della comunità che rimane senza guida e per la figura del sindaco, la cui vita politica e personale viene inevitabilmente segnata. Per questo motivo sentiamo la necessità che la Legge Severino venga modificata…”.
Un esempio della incongruenza di tale Legge è la recente notizia dell’archiviazione del fascicolo giudiziario che riguarda la sindaca di Crema, Stefania Bonaldi, indagata per lesioni colpose a causa dell’incidente, nell’ottobre 2020, occorso ad un bambino dell’asilo nido comunale che si era schiacciato le dita in una porta tagliafuoco, senza riportare lesioni permanenti.
Nel caso specifico c’era stata una spropositata bufera mediatica rinforzata dall’indignazione collettiva, ma gli effetti nefasti della Legge sortivano immediatamente i risultati negativi sui cittadini. Sarebbe ora di provvedere.