Senza una radicale riforma dell’amministrazione finanziaria una vera ripartenza sarà impossibile. Occorre un Fisco più equo e giusto e, nel contempo, scovare il maggior numero di grandi evasori. Mettere le mani in tasca ai soliti noti è sin troppo facile ma cosi facendo si penalizzano sempre gli stessi contribuenti.
Roma – Siamo tutti costantemente monitorati, alla faccia di privacy e riservatezza. Di ognuno di noi si sanno vita, morte e miracoli, come si dice. Dura lex, sed lex. E se c’è un’istituzione a cui non sfugge nulla, ma proprio nulla, questa si chiama Fisco. All’amministrazione finanziaria, infatti, le informazioni sui contribuenti non mancano di certo.
Nonostante questa grande “fortuna” l’istituzione statale riesce solo in piccola parte a contrastare l’evasione fiscale, specie quella definita “grande”. L’Ufficio studi della Cgia ricorda che “l’amministrazione Tributaria dispone di un sistema informativo della fiscalità (Sif) di primordine, costituito da ben 161 banche dati”.
A breve queste banche dati dovrebbero cominciare a dialogare fra loro mediante interconnessione telematica. Solo allora ogni movimento, in trasparenza, dei contribuenti sarà radiografato e verificato attraverso tutti i movimenti in entrata ed in uscita. Insomma pare che la privacy ormai sia diventata un “ferro antico” di cui ogni tanto si può parlare. Senza tentare di invocarla più di tanto. Sarebbe inutile, checché ne dica il Garante diventato un po’ come l’Araba fenice.
In effetti l’occhio lungo del Fisco non ha confini e con lo strumento del data base bancario è in grado di catalogare e recuperare nel dettaglio qualsiasi transazione economica. Così l’Amministrazione finanziaria “spia” ogni movimento effettuato tramite istituto di credito o poste in modo da verificare la reale capacità contributiva di ogni cittadino. Pertanto nulla scappa al radar del nostro sistema fiscale.
Tutto viene tracciato, a meno che l’operazione non avvenga al di fuori dei circuiti legali. Allora, non c’è banca dati che tenga e l’evasore, specie quello di un certo livello con portafogli a fisarmonica, ha ottime possibilità di rimanere impunito.
Se la presenza di un gran numero di dati integrati fra loro è una condizione necessaria, ma non sufficiente, per porre il Fisco davvero al servizio del cittadino-contribuente, è altrettanto indispensabile attivarsi almeno su due fronti diversi ma strettamente correlati fra di loro.
In particolare è ormai indifferibile ridurre il carico fiscale, magari ricorrendo all’azzeramento per l’anno in corso per poi, subito dopo, semplificare il sistema fiscale per le partite Iva. Il sistema tributario deve essere svecchiato e semplificato, senza questi due provvedimenti la ripartenza diventa un’utopia concreta.
Ma in Italia le cose si debbono complicare per forza, altrimenti non si passa per bravi. In previsione dunque di una qualche revisione delle tassazioni occorre rendere il sistema più equo possibile. Eliminando, per esempio, gli acconti e i saldi, in modo da consentire alle aziende di pagare le tasse solo se vi sono effettivi ricavi nell’anno d’imposta. In sostanza bisognerebbe passare da un sistema di prelievo sugli incassi presunti ad uno sugli incassi effettivi.
Il nostro Fisco agisce con un meccanismo contorto che indebolisce tutti. L’imprenditore, infatti, non paga le tasse solo sulla cifra totale di quanto ha dichiarato l’anno precedente, ma anche su quanto guadagna nell’anno corrente, ovviamente come “acconto” per il pagamento delle tasse che andranno versate nell’anno successivo.
Una concezione obsoleta e iniqua, e che non tiene conto della crisi che opprime tutti, di difficile eliminazione perché permette allo Stato di ottenere tutto e subito, anche quello che non ci si è messi in tasca. E comunque stiano le cose questa tipologia di pagamento dei balzelli genera una situazione di scarsa trasparenza e sovente crea problemi finanziari, perché è difficile per l’imprenditore prevedere quanto dovrà pagare.
La situazione, infatti, è equilibrata solo quando non vi sono evidenti differenze di reddito tra un anno e l’altro, ma quando non è così, com’è successo tra il 2019 e il 2020, le cose si complicano. Non per lo Stato che se ne infischia di tutti e rivendica i soldi l’uno sull’altro come se fossimo in pieno boom economico.
Peraltro nel caso in cui il reddito risulti essere più basso di quello registrato l’anno prima, l’imprenditore va a credito, in quanto gli acconti di imposta vengono calcolati su un reddito più elevato. Se, invece, si verifica un forte incremento di reddito, la situazione si capovolge. Il contribuente comunque viene danneggiato. E questo dato di fatto spiega la ragione per cui il Fisco non premia la crescita di reddito, semmai la penalizza.
Vedremo a breve quanto ci costeranno i miliardi che il governo sta distribuendo in questi giorni. Sono soldi in prestito, non dimentichiamolo. Anche quando li chiamano a fondo perduto. Perduti saremo noi, nel momento in cui dovremo restituirli.