Psicofarmaci a gonfie vele: 1 italiano su 6 ne fa uso

La pandemia ha fatto registrare un maggiore uso di antidepressivi, calmanti, sonniferi e in minima parte di integratori naturali per il controllo dei nervi e del sonno. Le restrizioni hanno causato danni maggiori alle categorie più disagiate e deboli. Anche qui la politica ha fallito. Anzi non ha saputo fare proprio nulla.

Roma – C’è un settore che non ha conosciuto crisi durante la pandemia, anzi ha registrato una notevole impennata dei consumi. Sinceramente se ne sarebbe fatto volentieri a meno. Ma i dati sono dati e non si discutono.

L’ Eurispes – ente privato che si occupa di studi politici, economici e sociali – nel suo consueto rapporto annuale sulla situazione generale del Paese, ci informa che 1 italiano su 5 ha assunto psicofarmaci nell’ultimo anno. Inoltre quasi il 30% si è rivolto ad uno psicologo ed il 6% ad uno psichiatra.

Se è vero che in tutte le situazioni difficili della storia la maggioranza delle persone ne paga il prezzo più alto, esistono categorie professionali che ne traggono profitti.

Il lockdown dovuto alla pandemia ha contribuito notevolmente all’assunzione di psicofarmaci

E’ il caso di psicologi e psichiatri, almeno quelli che lavorano come liberi professionisti, che hanno visto gonfiarsi il loro portafoglio con l’aumento di pazienti bisognosi di cure. Mentre quelli che esercitano nel servizio sanitario pubblico hanno visto aumentato solo il loro carico di lavoro.

Indubbiamente in questa anomala situazione ha recitato un ruolo decisivo lui, il perfido, terribile e letale coronavirus. Quest’ultimo è talmente entrato nella parte che essendo fornito naturalmente di corona, si sente quasi un re. Difatti è difficile spodestarlo ma i vaccini si stanno coalizzando per riuscire nell’ardua e agognata impresa.

In emergenza sanitaria con la pandemia l’AIFA (Agenzia italiana del farmaco) ha registrato un incremento sostanzioso nel consumo di ansiolitici ed il 20% della popolazione ha manifestato sintomi depressivi in misura doppia rispetto al periodo pre-covid.

Le aziende farmaceutiche hanno aumentato il fatturato con la vendita di antidepressivi

Anche in questo caso le case farmaceutiche hanno visto schizzare in alto le vendite di ansiolitici e tranquillanti in primis e poi di antidepressivi, stabilizzatori dell’umore e antipsicotici. A utilizzarli con maggiore frequenza sono le le donne rispetto agli uomini e il loro consumo risulta più diffuso tra le persone mature, meno tra i giovani ed i giovanissimi.

Eurispes evidenzia, inoltre, che un maggior consumo è stato rilevato tra le persone in cassa integrazione e tra i pensionati. Se è vero che i numeri danno forza alle ipotesi di indagine è altrettanto vero che, a volte se non spesso, risultano essere come la scoperta dell’acqua calda.

Non c’è bisogno della zingara per indovinare l’arcano mistero, come recita un’antica canzone napoletana, ma basta alzare gli occhi e guardare un po’ più in là del proprio naso, per rendersi conto di quanta disperazione c’è in giro.

Depressione da Covid

Ma i numeri sono numeri e la matematica non è un’opinione. E’ chiaro che le donne hanno scontato e patito una situazione più ostica, perché svolgono lavori precari soprattutto nel settore dei servizi e sono impegnate nell’assistenza e nella cura della famiglia.

Per quanto riguarda le persone che si sono ritrovate in cassa integrazione è comprensibile che ritrovarsi con lo stipendio ridotto e con la prospettiva di restare disoccupate, possa provocare problemi di natura psicologica e di relazioni intra familiari.

I pensionati, che si trovano già nelle condizioni di rallentamento vitale, si sono ritrovati all’improvviso catapultati nel ciclone della pandemia, che ha reciso tutte le loro relazioni sociali. Questi soggetti deboli si sono visti incrementare le loro condizioni di fragilità iniziale accusando ulteriori danni psicologici.

Giancarlo Coraggio

Un aspetto importante che è emerso dall’indagine Eurispes è quello della diversa efficienza che le regioni hanno manifestato nell’offerta dei servizi sanitari, anche di quelli relativi alla salute mentale.

A tal riguardo rimangono sintomatiche le parole di Giancarlo Coraggio, presidente della Consulta, in occasione della relazione sull’attività 2020: “…Nella Sanità serve un esercizio forte da parte dello Stato, di coordinamento e correzione delle inefficienze regionali per evitare rischi di disomogeneità e lesione dei livelli essenziali delle prestazioni…”.

Dovrebbero tremare i polsi di chi per anni ha parlato a vanvera di federalismo, senza sapere a che cosa si riferisse. Oggi gli stessi politici della prima ora hanno fatto marcia indietro. E buonanotte ai suonatori.                                            

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