PALERMO – ANNA NOCERA, 17 ANNI, IL PRIMO FEMMINICIDIO DI MAFIA

Il primo femminicidio si era consumato nel silenzio e nel terrore. I metodi della mafia moderna non sono tanto dissimili da quelli di oltre un secolo fa. E' importante mantenere viva la memoria della sue vittime.

PalermoEra il 10 marzo 1878 quando Anna Nocera, 17 anni, spariva misteriosamente nel nulla con un figlio in grembo. Sarà la prima vittima della mafia. Era una ragazza di umili origini che lavorava come domestica al servizio della famiglia Amoroso, un clan di Porta Montalto. Attratto dalle sue grazie, Leonardo Amoroso, uomo dagli istinti bestiali, aveva tentato di sedurla. La fanciulla, spaventata, per diversi mesi aveva smesso di lavorare ma, considerate le condizioni di estrema povertà della sua famiglia, era stata costretta a tornare sui suoi passi. Ben presto, però, era stata costretta a cedere alle avances dell’uomo e rimase incinta. La famiglia Nocera conobbe l’onta del disonore ma, nonostante le richieste della giovane di un matrimonio riparatore all’uomo che l’aveva abusata, il timore che incuteva il nome degli Amoroso a quei tempi la costrinse ad un umiliante silenzio. Leonardo decise di risolvere il problema sbarazzandosi di lei.

Agostino Depretis

Le modalità della sparizione restano, tuttavia, un mistero. Quello che si sa è che, la mattina del 10 marzo, Anna uscì da casa per recarsi, come ogni giorno, presso gli Amoroso ma non fece più ritorno dai suoi familiari che la cercarono invano. Così prese sempre più corpo la tesi che fosse stata uccisa e sepolta chissà dove. Il padre della vittima intuì che il colpevole era Leonardo Amoroso e, un giorno, lo aspettò in strada per chiedergli che fine avesse fatto sua figlia. Il carnefice rispose con indicibili ingiurie rivolte alla poverina e minacciò di morte il pover’uomo solo se ne avesse fatto parola con la giustizia. E così l’omertà aveva vinto.

Terrore e morte: i metodi convincenti di cosa nostra di ieri e di oggi.

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Erano gli anni, quelli, del primo governo della sinistra al potere, presieduto da Agostino Depretis. Il ministro dell’Interno era l’ex garibaldino Giovanni Nicotera che aveva inviato a Palermo il prefetto Antonio Malusardi per condurre una campagna contro il banditismo e per stanare sette di tipo mafioso, di cui facevano parte banditi, possidenti, notabili, professionisti e, persino, sacerdoti. L’associazione di malfattori era stata introdotta nel codice napoleonico del 1810 e recepita dal codice sardo del 1859 che diventò il codice penale del nuovo Stato, di cui l’articolo 426 recitava che”ogni associazione di malfattori in numero non inferiore a cinque, all’oggetto di delinquere contro le persone e le proprietà, costituisce per sé stessa un reato contro la pubblica tranquillità”. La pena prevista era da uno a cinque anni. Sempre in quel periodo Palermo era stata teatro di importanti processi contro la mafia, primo tra tutti quello che vide protagonisti, tra il 25 aprile e l’8 maggio del 1878, gli Stuppagghieri (da stuppagghiu = tappo) di Monreale, che rappresentavano una”nuova mafia”che si contrapponeva a quella “dei Giardinieri” che si contendevano il controllo dell’acqua e rappresentò la prima guerra di mafia di cui si abbia notizia.

Giovanni Nicotera

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Processo che si concluse con la condanna per associazione mafiosa di 12 imputati ma la sentenza venne annullata per un vizio della composizione della giuria e il secondo processo, svoltosi a Catanzaro, ebbe come esito l’assoluzione di tutti gli accusati. Diversamente, invece, andarono i processi ai Fratuzzi di Bagheria, ai fratelli Amoroso e alla Fratellanza di Favara. In particolare, dal 29 agosto al 18 ottobre del 1883 si era svolto nel capoluogo siciliano, nell’aula della Corte d’Assise in via Parlamento, quello ai fratelli Amoroso – in guerra coi Badalamenti – e accusati come componenti di un’associazione e di nove omicidi, tra cui quello di Gaspare Amoroso, un congiunto che svolgendo il servizio di leva come carabiniere aveva violato il codice mafioso e quello di Anna Nocera.

Via del Parlamento a Palermo dove aveva sede la Corte d’Assise.

Il processo agli Amoroso raccolse una grande partecipazione di pubblico, riscuotendo l’interesse della stampa italiana ed estera. Come parte civile si costituirono alcuni parenti di Gaspare Amoroso e Vincenza Cuticchia, vedova e madre della sfortunata domestica che, dando prova di grande coraggio all’epoca, non esitò a gridare agli imputati ”Scellerati, infami, vi succhiaste il sangue di mia figlia!”. In difesa degli imputati si presentarono i deputati Valentino Caminneci e Raffaele Palizzolo insieme ad alcuni notabili dell’epoca. Alla fine ci furono nove condanne a morte e diverse restrizioni in carcere. Tuttavia il corpo di Anna Nocera, vittima del primo femminicidio di mafia, non venne mai ritrovato.

 

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