Il caldo afoso di questi giorni non riesce a sfiancare la politica che, sia al mare che in montagna, tenta di recuperare un cucuzzaro che si dissolve ogni giorno di più. Alleanze false e giochi di bottega rendono ridicoli certi leader che sino a ieri sparavano a zero sull’avversario diventato compagno di cordata. E viceversa.
Roma – La politica è in fermento nonostante la calura. Ed i partiti vanno configurandosi in coalizioni che appaiono sempre più strette e che non esaltano la propria identità. Anzi la annacquano a tal punto da farci perdere il gusto della sfida elettorale. La legge elettorale, purtroppo, impone alleanze ma certamente con un minimo denominatore comune che non può ridursi soltanto al paventato “pericolo delle destre” al governo. Così come è anacronistico affermare, dall’altro versante, che “la sinistra è una palla al piede” per il vero riformismo.
Battaglie ideali di un tempo, quando erano più marcate le differenze tra i partiti. Adesso, nonostante si vogliano rispolverare vecchi slogan, tutto appare ugualmente surreale e privo di credibilità. La prova è data dal tentativo di Letta di unire tutte le diversità esistenti per fronteggiare i sondaggi di un centrodestra che nonostante le diaspore interne appare più coerente ed omogeneo.
Nulla di nuovo, si potrebbe dire, visto che la sinistra non ha perso il “vizietto” di dividersi in mille rivoli nell’estremo tentativo di rappresentare un elettorato esigente e radical-chic. Un limite dal quale sembra che in molti non possano o non vogliano uscire. Purtroppo le esperienze passate non sono servite a nulla.
Ma certamente non è il campo largo che può colmare ogni differenza. Incongruenze, visioni e diversità prima o dopo emergono, così come il refrain del segretario del Pd basato sulla cosiddetta ed incomprensibile “agenda Draghi”. Un ritornello stonato che si è andato a schiantare contro il muro eretto da “sinistra italiana con Fratoianni il quale, in Parlamento, non ha votato la fiducia ai provvedimenti del Premier per una infinità di volte.
Eppure nella coalizione dei dem viene accolto come una star, a differenza del M5s. Comprensibile la strategia di Letta per i complessi meccanismi elettorali di cui il Pd potrebbe beneficiare in caso di flop dei piccoli alleati. Mentre per gli altri si tratterebbe di ottenere solo una manciata di seggi sicuri.
In sostanza il tempo a ridosso delle elezioni ha prodotto, fino adesso, solo patti brevi e forzati dall’interesse di bottega. Tanto che alla fine Carlo Calenda, dopo aver annunciato che l’accordo con il Pd per lui non esiste più, si è sentito in dovere di chiedere scusa agli italiani “…Per aver tenuto appeso il Paese su una cosa che in fondo è molto piccola ma per noi è molto grande…”. Contento lui.
“…È una delle decisioni più sofferte – ha continuato Calenda – ma non intendo andare avanti con questa alleanza…”. Tutto è avvenuto in due settimane. Con i tempi accelerati imposti da una campagna elettorale per la prima volta estiva e compressa in pochi giorni.
Infatti le elezioni fissate al 25 settembre impongono il deposito dei simboli entro la metà di agosto. A fargli cambiare idea, ha spiegato ancora il leader centrista, è stata l’aggiunta di alcuni pezzi stonati, ovvero gli accordi che Letta ha stretto sia con Sinistra Italiana e Verdi sia con Luigi Di Maio e Bruno Tabacci. Una giustificazione che ha fatto infuriare il Pd, messo alle corde dalle tante alchimie e strategie pelose. Tant’è che il segretario dem afferma che “…Onore è rispettare la parola data. Il resto è populismo d’élite…”. E meno male.
Una dichiarazione che non si comprende: è autocritica rivolta alle continue evoluzioni e salti nel buio per aggregare chiunque, tranne il M5s col quale era alleato? Oppure si tratta di scelte anche discutibili di altri? Il re ora è nudo. Comunque la rottura di Azione riapre a nuovi scenari centristi, dietro l’angolo soprattutto Italia Viva di Matteo Renzi che, in ogni caso, si è alleato con Federico Pizzarotti, ex sindaco di Parma. E siamo solo agli inizi.