Letta si rode le mani prima del commiato

Un leader che ha a cuore le sorti degli italiani non afferma di adoperarsi con i suoi per far cadere questo governo il prima possibile. Mostrando cosi i suoi veri limiti ed il perchè della dolorosa sconfitta elettorale. Tra qualche mese, comunque, Enrico Letta sarà solo un ricordo anche per i dem.

Roma – La sinistra non si rassegna ed è come se ancora non si fosse ripresa dai veri motivi che hanno determinato il deludente risultato elettorale, peraltro ampiamente previsto. Varato il governo, ed esaurite le dichiarazioni sull’importanza di vedere varcare la soglia di Palazzo Chigi a una donna, i partiti dell’opposizione affilano le armi contro quello che già definiscono un governo reazionario. Nessun buon proposito da parte della sinistra, solo previsioni a tinte fosche.

Non tutti, chiaramente, perché già nei primi commenti seguiti alla presentazione della lista dei ministri, si nota una certa distanza fra i toni più concilianti e improntati alla collaborazione dei centristi di Azione e Italia Viva e quelli più barricadieri del Pd e del M5s. Il Partito Democratico è alle prese con l’avvio del congresso che dovrebbe portare all’elezione del nuovo segretario entro la prima metà di marzo ma nelle intenzioni di Letta i dem dovranno portare avanti solo un’opposizione intransigente, a prescindere dal lavoro di rinnovamento del partito.

Enrico Letta, da perfetto illuso, ha detto: dobbiamo far cadere questo governo il prima possibile. Che politico!

Il grido di guerra “opposizione, opposizione, opposizione”, ricorda tanto quel “resistere, resistere, resistere” pronunciato dal procuratore generale di Milano Francesco Saverio Borrelli nel 2002 contro l’allora governo Berlusconi. Per portare avanti questa opposizione ci vorrebbe una visione chiara che non sembra ancora presente fra i dem. Nonostante tutto il Pd mira ad istituire un tavolo di coordinamento con gli altri alleati, ma ha già incassato un categorico “no, grazie” da Renzi e Calenda. A pesare, dicono i centristi, è lo strappo consumato in occasione dell’elezione delle vicepresidenze delle Camere, andate due ai dem e due ai Cinque Stelle.

Così l’appello del Pd non sembra fare breccia nemmeno fra i Cinque Stelle che, con Giuseppe Conte, hanno avviato discussioni con il costituendo “Polo Progressista” lanciato da Stefano Fassina, insieme ad una serie di personalità del mondo della cultura, che vanno da Domenico de Masi e Moni Ovadia. L’assemblea dei sottoscrittori ha approvato un ordine del giorno per costituire “Coordinamento 2050”, un’associazione civica, ecologista e di sinistra. Insomma, la confusione regna sovrana ed è frutto della bruciante sconfitta che è stata registrata da un centrosinistra che ha saputo solo dividere anziché unire le diverse anime che rappresentano la sinistra, pur con le differenti declinazioni che la contraddistinguono.

Giuseppe Conte

Infatti, per Conte, il Pd è indietro” rispetto a un percorso di rinnovamento che il Movimento 5 Stelle ha avviato un anno fa e che da poco ha concluso. Sulla base di questa esperienza, e con un pizzico di malizia, Conte si spinge a offrire il know how del M5s ai dem: “…Consiglio non richiesto, dovete scontrarvi perché se all’esito di questi processi la logica correntizia sarà sempre lì, non servirà a nulla…”.

Da tutto ciò si desume la grande responsabilità che dovrà contraddistinguere la maggioranza ed il clima di reciproca lealtà che ci dovrà essere tra gli alleati, in considerazione dell’opacità e dell’individualismo che anima le opposizioni parlamentari, questo governo potrà cadere o essere delegittimato solo dagli stessi vincitori delle elezioni, ora nella sala dei bottoni.

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