La campagna elettorale è partita con Giorgia Meloni in testa che, astensionismo a parte, ha buone speranze di fare bella figura. Se il partito dei No-voto incrementerà le proprie fila sarà proprio il centrodestra a farne le spese, specie Lega e FI. A vantaggio del centrosinistra e dei cartelli “moderati”. Cosi è sempre stato.
Roma – La riforma del taglio dei parlamentari, passati da 945 a 600, e lo stravolgimento del peso delle singole forze politiche nel corso di questa delirante legislatura è destinato ad arroventare il confronto elettorale. Lo stato di salute dei partiti è un punto di partenza, sulla base del quale misurare l’andamento della campagna elettorale, i cui risultati effettivi delle elezioni politiche si vedranno il 25 settembre.
Certo le rilevazioni non tengono conto degli effetti sull’opinione pubblica della clamorosa crisi che nell’arco di pochi giorni ha portato alle dimissioni del governo con la più ampia base parlamentare della storia repubblicana. C’è dunque da scommettere che, nei prossimi giorni, gli italiani terranno conto di ciò che è avvenuto in Senato e potranno davvero cambiare tutto.
Si consideri che solo il 30% auspicava nuove elezioni in caso di caduta dell’esecutivo. Quella che si prefigura, ad oggi, è comunque un testa a testa tra il Partito Democratico e Fratelli d’Italia, dal primo momento il principale se non l’unico partito anti-Draghi. Entrambi, secondo i recenti sondaggi, otterrebbero tra il 22 e il 23% dei voti, con Meloni avanti di un misero 0,7% rispetto a Letta.
Molto più staccata, al 14,4% la Lega, che dovrà fare una campagna elettorale accontentandosi del ruolo di seconda forza del centrodestra, con almeno un pezzo importante della sua classe dirigente, in particolare i presidenti delle Regioni settentrionali, ben poco entusiasti nei confronti del leader Matteo Salvini e delle sue recenti mosse.
La “vittima sacrificale” predestinata di questa campagna elettorale sembra essere il Movimento 5 Stelle, da mesi in crisi di consensi, con una scissione appena avvenuta anche se più nei numeri parlamentari che nei consensi effettivi ed ora escluso dall’alleanza con i dem. Così il M5s forse non avrà nemmeno molto tempo per ri-posizionarsi cercando di recuperare consensi con un “ritorno alle origini” di movimento antisistema e di opposizione, ammesso che questa fosse l’intenzione di Conte.
Anche quella di Forza Italia è un’incognita, poiché il mancato voto per Draghi in Senato ha comportato una frattura non indifferente nel partito di Silvio Berlusconi. Infatti i ministri Brunetta e Gelmini ed il senatore Cangini si sono già dimessi da FI e probabilmente troveranno “domicilio” in altri contenitori moderati, come anche, probabilmente, gli elettori forzisti più filo-Draghi, a cominciare da Azione di Carlo Calenda e Italia Viva di Matteo Renzi.
Questi due partiti, ad oggi, valgono insieme il 7,6%, non molto lontano dall’8,4% di cui è accreditata FI. Alle loro spalle, vi sono i partiti che lotteranno per superare il 3%, cioè la soglia di sbarramento prevista dal Rosatellum, che è piuttosto folta. Vi è ItalExit di Paragone accreditata al 2,6%, Art.1/MDP all’1,9%, che potrebbe cercare un riavvicinamento col PD.
Poi ci sono i Verdi e Sinistra Italiana, che recentemente hanno unito le forze in un “cartello” con l’obiettivo di presentarsi alle elezioni con un unico simbolo e attualmente, se sommati, varrebbero il 4%. Il perimetro definitivo delle coalizioni si saprà solo nelle prossime settimane, i simboli e le liste dei candidati andranno depositati entro il 22 agosto, ma è verosimile che il centrodestra si presenti con almeno 3 liste, FdI, Lega e FI, mentre il Pd non si alleerà con il M5S, ritrovandosi in questo modo con una coalizione cosiddetta “draghiana” molto simile a quella che si formò intorno al PD renziano nel 2018. Insomma con tutti tranne che con il partito del Vaffa-Day…
In tal caso la situazione ai blocchi di partenza è decisamente favorevole al centrodestra, che col 46,6% dei consensi virtuali avrebbe ben 17 punti di vantaggio su un centrosinistra così composto e le sue chance di conquistare un’ampia maggioranza di seggi sarebbero quindi molto elevate. Astensione permettendo.