Lo erano certamente per l’economia che voleva evadere il Fisco ed i controlli stabiliti dalla legge, poi una norma europea avrebbe sanato il loro utilizzo. Adesso si scopre che per “lavorare”, ad esempio, i Bitcoin occorrono computer talmente “energivori” che in alcuni Paesi sono capaci di consumare tonnellate di carbone, con le conseguenze che tutti conosciamo. Insomma problemi su problemi anche con la tecnologia che avrebbe dovuto evitarli.
Roma – Della serie “non si può mai stare tranquilli”. Adesso anche le criptovalute hanno un forte impatto sull’ambiente. La più famosa è il Bitcoin, nata nel 2009 con l’idea di decentrare il potere economico delle banche ma ce ne sono altre.
Sono monete digitali create su un sistema di codici. Funzionano in modo autonomo dai sistemi bancari e governativi. Utilizzano la crittografia per rendere sicure le transazioni. Si basano, infatti, sulla tecnologia Blockchain, ovvero un registro di contabilità condiviso e immutabile che facilita il processo di transazioni e la tracciabilità dei beni in una rete commerciale.
Questi processi, per andare avanti, hanno bisogno di una gran mole di energia e, più o meno, funzionano in questo modo. Per produrre nuova criptovaluta e controllare la conformità delle transazioni, i computer collegati devono completare calcoli matematici molto complicati. In termini tecnici, si parla di mining. Per fare ciò, i Pc devono essere molto potenti e, quindi, richiedono una grande quantità di energia, che viene utilizzata anche per il raffreddamento dell’hardware.
Visto che con questo processo si è cominciato a guadagnare ingenti somme, sono sorte numerose mining farm. Si tratta di data center in cui migliaia di computer sono dedicati al mining, che per poter funzionare hanno bisogno di moltissima energia. Il problema è che la gran parte di esse operano in Paesi che utilizzano energia a base di carbone!
L’Università di Cambridge, Regno Unito, ha condotto uno studio: Bitcoin/Ethereum Energy Consumption Index, l’indice di consumo di ecletticità delle criptovalute, che ha esaminato l’impatto ambientale di una transizione Blockchain e del processo di mining.
Per una transizione Bitcoin c’è bisogno di 2.100 kilowattora (kWh), pari, all’incirca, al consumo di una famiglia media in 75 giorni. Ogni anno il consumo è maggiore di quello dell’intera Finlandia e sette volte in più di Google. Secondo alcune stime, le criptovalute hanno prodotto più di 56,8 milioni di tonnellate di anidride carbonica (CO2).
Nel 2021 ben 250 aziende di criptovalute, più sensibili ai temi ambientali e organizzazioni no profit, hanno firmato il CCA (Crypto Climate Accord) ispirandosi all’Accordo di Parigi del 2015. Come quest’ultimo perseguiva l’obiettivo di limitare ben al di sotto dei due gradi Celsius il riscaldamento medio globale e di raggiungere entro il 2030 la completa decarbonizzazione, il CCA prevede di raggiungere quest’ultimo obiettivo entro il 2040.
Si potrebbe erroneamente pensare che sostituendo l’energia proveniente da fonti fossili con le fonti rinnovabili il problema potrebbe essere risolto. Ed invece bisogna valutare i costi ambientali derivati dalla “cyber spazzatura“. Per restare competitivi nella rete c’è bisogno di tecnologie avanzate, tenendo presente che questi grandi hardware durano poco più di un anno.
La rivista Resources, Conservation and Recycling (trad. Risorse, Conservazione e Riciclaggio), che tratta temi relativi alle Scienze Ambientali, ha pubblicato uno studio in cui si parla di quasi 31 mila tonnellate di rifiuti elettronici prodotti dalle criptovalute. E le previsioni non sono certo rosee: si parla, anzi, nel breve periodo di 64 mila tonnellate annue. Questo perché i computer usati per il mining sono altamente contaminati. Se non smaltiti con correttezza, i minerali pesanti e le sostanze chimiche di cui sono formati, si possono disperdere con facilità nel suolo e nell’acqua.
Non c’è speranza: qualsiasi processo che mette in moto l’essere umano, c’è sempre l’altro lato della medaglia che spegne gli entusiasmi iniziali. La tecnologia doveva risolvere tanti problemi e rendere la vita più semplice. Invece ce la sta rendendo più complicata di prima, danneggiando ancora di più l’ambiente. Che genio!
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