La produzione di rifiuti cresce e con essa gli interessi della mafia calabrese che non conosce crisi. In Lombardia non c’è angolo della regione che non debba fare i conti con sversamenti di fanghi velenosi, discariche abusive, smaltimento di frodo di sostanze tossiche e radioattive sino agli incendi dolosi di interi capannoni zeppi di tonnellate di immondizie. La drammatica situazione è favorita da una certa politica collusa e da imprenditori senza scrupoli.
Milano – Dagli anni ’90, ma ancora prima, la Lombardia si è velocemente trasformata in un pericoloso contenitore di rifiuti tossici e nocivi.
Non c’è provincia, infatti, che non vanti il suo primato in termini di smaltimento di frodo, stoccaggio e raccolta di materiali di scarto di ogni genere, compresi quelli radioattivi che si sommano alle sostanze tossiche disseminate nei campi della Pianura padana grazie allo sversamento di fanghi contaminati.
Poi c’è l’inquinamento che definiamo “istituzionale” e che riguarda la più grande raffineria d’Europa, quella di Sannazzaro de’ Borgondi, in provincia di Pavia, e ben 13 impianti di termovalorizzazione o incenerimento di rifiuti solidi urbani sparsi per la regione.
Di questi quello di Brescia è il più grande d’Europa con le sue 750mila tonnellate di materiale bruciato in un anno. La struttura, coinvolta in ben due violazioni della normativa europea finite poi con una condanna da parte dell’Ue, si trova vicinissima alla città per la felicità dei cittadini che abitano nei pressi dell’impianto.
A parte le discariche abusive che si trovano dappertutto, le fonderie che distruggono il materiale ferroso radioattivo proveniente dall’Est europeo, i capannoni zeppi di rifiuti di qualsiasi origine che regolarmente vanno in fumo, le autostrade costruite sopra tonnellate di rifiuti tossici e i siti abusivi di stoccaggio di amianto ed altre sostanze pericolose, a gestire il ricco comparto, a cui si sono aggiunti gli affari illeciti derivati dalla gestione della pandemia, è la ‘ndrangheta che non conosce momenti di crisi.
Imprenditori collusi e una certa politica dedita al malaffare, oltre alla corruzione della pubblica amministrazione, creano un terreno favorevole alla penetrazione della devianza organizzata che ormai detiene il monopolio commerciale in diversi indotti economici, quello dei rifiuti in testa:
”…La ‘ndrangheta in Lombardia ha una irresistibile attrazione per i rifiuti – ha detto più volte Alessandra Dolci, procuratore aggiunto a capo della Dda di Milano – un settore che è una testa di ponte per allargare i rapporti con il mondo imprenditoriale e quindi il capitale sociale. La criminalità organizzata ha già da tempo messo gli occhi sulla gestione dei rifiuti legata all’emergenza Covid-19 e le istituzioni e le forze dell’ordine hanno immediatamente alzato le antenne avviando diverse indagini e monitorando altrettanti soggetti in odore di 416bis. Abbiamo colto l’immediato interesse a sfruttare questa occasione… Qui in Lombardia c’è la ‘ndrangheta imprenditrice che stringe alleanze con chi vuole affacciarsi con qualunque mezzo sul mercato. In periodo di pandemia ci sono il business dello smaltimento di mascherine, guanti e della sanificazione…”.
Per non parlare del commercio di disinfettanti, di materiale sanitario e di altri appalti che si sarebbero aggiudicate, in emergenza, numerose aziende in tutta Italia la cui compagine sociale non era proprio adamantina. La storia dei rifiuti in mano alla mafia è cosa vecchia in Lombardia.
Nel 1995 a Valle Lomellina, in provincia di Pavia, la guardia di Finanza recuperava 353 fusti contenti rifiuti tossici e nocivi dissotterrati nell’area dell’ex Sif, un’azienda dismessa che per quasi mezzo secolo aveva prodotto il furfurolo, largamente utilizzato come intermedio nella preparazione di polimeri e resine termoindurenti oltre che come solvente selettivo, ricavandolo dalla lolla di riso.
Si parlava di fusti contenenti 200 litri ognuno di veleno che avevano inquinato suolo, sottosuolo e falde acquifere. Stessa sorte sarebbe toccata ad altre zone della Lomellina, terra vocata alla coltivazione di riso e mais, dove sono stati interrati migliaia di fusti mai ritrovati.
Oggi nella sede della ex Sif, che sorge davanti ad una nota azienda risicola, dopo una bonifica fatta all’acqua di rose ma costata un bel po’ di soldi pubblici, sono rimaste tonnellate di amianto a copertura dei tetti dei capannoni. Danno nel danno. E chi lo doveva rimuovere per smaltirlo e trasportarlo al sicuro che fine ha fatto?
E cosi negli anni sino agli incendi dolosi dei capannoni contenenti centinaia di tonnellate di rifiuti sino ai fanghi al veleno che hanno coinvolto 78 Comuni: 31 nel Bresciano, 14 del Cremonese, 11 del Milanese, 7 del Mantovano, 4 del Lodigiano, 2 del Pavese, 1 del Comasco.
Le bonifiche dovranno essere a carico della Wte Srl, una delle due ditte di Parabiago finite nel mirino della magistratura e che sversavano fanghi non depurati come se fosse il miglior fertilizzante del mondo:
”…Attenzione a logistica, sanità e agroalimentare – metteva in guardia Alessandra Dolci mesi fa – in questi settori gli interessi della criminalità sono notevoli…”.