In Europa ascesa del lavoro nero e precariato

Nonostante le belle parole da campagna elettorale il lavoro “vero” riservato ai più giovani sembra sparito. E questo accade in tutta Europa, più o meno. In Italia il lavoro nero ed i contratti precari hanno raggiunto livelli insostenibili ed il fenomeno negativo, grazie alla mancanza di controlli a tappeto, rischia di diventare l’unica possibilità di reddito.

Roma – Che il posto fisso sia ormai una mera illusione è cosa ben nota, soprattutto per i giovani, verso i quali anche il lavoro è spesso un miraggio. Tanto che per chi di loro riesce a trovarne esso si materializza, quando va bene, con un contratto precario. Specie nel nostro Paese ma anche in altri Stati dell’UE, a dire la verità.

In sostanza i giovani pagano la crisi e un mercato del lavoro all’insegna della deregulation che abusa di contratti atipici, subendo anche le nuove tecnologie che hanno modificato il modo di lavorare, costringendoli a rinviare scelte di vita importanti quali la creazione di una famiglia, per dirne una. Per non parlare della pensione che ormai sembra un miraggio d’altri tempi, infatti dovranno fare più sacrifici per avere in cambio un assegno assai meno cospicuo di quello percepito dai loro genitori. La pandemia ha fatto emergere la debolezza strutturale del mondo del lavoro, evidenziandone i limiti.

La prima ondata di Covid ha visto, per esempio, il ricovero in ospedale e in terapia intensiva principalmente dei più anziani, ma ha buttato fuori dal mercato del lavoro i più giovani. La fascia di popolazione europea di età compresa tra i 15 e i 24 anni è quella che ha maggiormente risentito della pandemia e della conseguente crisi economica.

Eurostat non ha dubbi: “L’occupazione dei giovani è diminuita drasticamente nel secondo trimestre del 2020″ e il motivo è da ricercare nelle dinamiche di un mercato del lavoro a tutele decrescenti. L’ufficio statistico dell’Unione europea accende i riflettori sul fenomeno dei contratti atipici e del precariato in Europa e rivela una marcata diminuzione del tasso di occupazione dei giovani in tutti gli Stati membri dell’UE ad eccezione della Germania. Forti cali anche in Slovenia, Irlanda, Spagna, Finlandia, Portogallo, Svezia ed Estonia.

Le diminuzioni più contenute, in termini percentuali, si sono registrate in Croazia, Grecia e Italia con -1,3 punti percentuali per tutti e tre i Paesi. Nell’UE, tra il primo e il secondo trimestre, si sono ritrovati disoccupati 721 mila giovani. Praticamente le misure di confinamento, imposte a partire da marzo in tutta Europa, si sono tramutate in licenziamenti.

Nelle principali economie della zona euro si registrano, invece, le maggiori emorragie di giovani, in Spagna con -160 mila, in Francia -124 mila, Paesi Bassi -72 mila ed in Italia -51 mila. Il motivo di questa perdita di giovani sembra essere legata alla natura contrattuale, penalizzante rispetto ai colleghi più anziani.

Nella nota di accompagnamento ai dati, Eurostat rileva che a fronte dell’emergenza Coronavirus molti Stati membri dell’UE hanno varato misure come il lavoro a orario ridotto o il sostegno finanziario alle imprese per smorzare l’impatto della crisi sanitaria sull’occupazione. Proprio ciò avrebbe potuto contribuire a limitare in una certa misura i licenziamenti di massa, ma così non è stato. Tuttavia, le persone che avrebbero dovuto entrare nel mondo del lavoro o essere mantenute all’interno di esso attraverso il rinnovo del loro contratto a tempo determinato sono state direttamente colpite dalla flessione delle attività economiche e dalla chiusura di aziende o enti pubblici. Insomma, il problema occupazionale, della stabilità lavorativa, del precariato ormai standardizzato, dell’inflazione, degli intollerabili costi energetici e di ogni prodotto, anche di prima necessità, è divenuto il primo problema da affrontare con serietà e a breve termine.

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