Ormai la digitalizzazione si è impossessata di noi e non potremo più rinunciarci. Il digitale è indispensabile e aumenta la produzione dunque l’occupazione e finanche il Prodotto interno lordo. Senza sarebbe la fine.
Roma – La digitalizzazione: una ricchezza per le piccole e medie imprese. L’Italia tra le varie sfighe che si ritrova, ha sul groppone pure quella del digital divide, ovvero il divario digitale, rispetto agli altri Paesi europei. Le sfighe non sono piovute sul nostro capo per colpa del destino cinico e baro, ma per l’inefficienza della nostra classe dirigente.
Ad esempio le nostre piccole e medie imprese (PMI) stanno pagando un prezzo altissimo per questo motivo. Eppure un’inversione di tendenza avrebbe effetti positivi sulla crescita del PIL (Prodotto Interno Lordo) e sull’occupazione.
E’ quanto emerge da uno studio effettuato da The European House Ambrosetti per Meta. Il primo è un gruppo professionale fondato nel 1965 specializzato nella consulenza strategica ed operativa, dell’aggiornamento professionale e della ricerca.
La seconda, invece, è una multinazionale statunitense che controlla i servizi di rete sociale Facebook e Instagram, i servizi di messaggistica WhatsApp e Messenger. Poiché non ci facciamo mancare nulla (!), occupiamo il 20° posto su 27 nell’Unione Europea (UE) dell’indice DESI.
Ovvero il Digital Economy and Society Index, introdotto dalla Commissione Europea per valutare i progressi dei Paesi europei per quanto riguarda la digitalizzazione dell’economia e della società, al fine di convergere verso un unico mercato digitale. Più in dettaglio, il divario è evidente nelle infrastrutture di rete e nelle competenze digitali delle singole imprese.
Ne consegue una distanza anche nell’interazione digitale dei clienti. Le imprese italiane ottengono, invece, un risultato superiore alla media europea per la digitalizzazione del business e l’adozione di tecnologie digitali. L’utilizzo avanzato dei social media e dei canali digitali produrrebbe benefici in termini di crescita dei ricavi, del numero di clienti e di follower e stimolerebbero, finanche, gli investimenti.
Una volta avviato questo processo, si innescherebbe un meccanismo virtuoso per la produzione di crescenti investimenti tecnologici e di formazione digitale dei dipendenti. Sembra che un uso intensivo dei social media possa generare benefici all’intero sistema-Paese.
Lo studio in questione ha calcolato che la diffusione dell’uso dei social media possa provocare fino a 10,2 miliardi di Euro in più di Valore Aggiunto. L’economia ci viene in soccorso e ci suggerisce che il Valore Aggiunto è la differenza fra il valore della produzione di beni e servizi e i costi sostenuti da parte delle singole unità produttive per l’acquisto di input produttivi, a essa necessari, presso altre aziende.
E’ quindi il valore che i fattori produttivi utilizzati dall’impresa, capitale e lavoro, hanno aggiunto agli input acquistati dall’esterno, in modo da ricavarne una data produzione. Ma non crescono solo la produttività ed i profitti delle aziende, ma anche l’occupazione.
Si parla, infatti, di un aumento dell’occupazione oltre i 208mila occupati aggiuntivi nelle PMI. Ora non è che ci voglia la Sibilla cumana o l’Oracolo di Delfi, figure profetiche della religione romana e greca, per essere consapevoli che senza le tecnologie con le varie sfumature le aziende e la società non vanno avanti. Ormai ci sono e bisogna adeguarsi, per non perire.
Altrimenti è come andare in guerra con le cerbottane per affrontare un nemico con armi sofisticate. Si resta solo impotenti nel prendere atto della pervasività, della ferocia e dell’annientamento che essa, la tecnologia ha manifestato.
Forse in nessuna epoca storica si è assistito a tanta potenza. Ad esempio, quando è stata creata la penna a sfera, quella stilografica non è andata immediatamente in soffitta. Mentre ora il passato è stato completamente annientato. Vige il motto: tecnologia, o morte!