L’Europa cerca di cambiare marcia tentando un diverso approccio con i cittadini per recuperare la credibilità perduta. In tempi di pandemia è estremamente importante andare incontro alle necessità degli europei che invocano il diritto alla salute, al lavoro, alla scuola, alla sicurezza sociale e in genere il diritto ad un futuro di certezze.
Roma – Il “mi sta a cuore” del prete-maestro di Barbiana, Don Lorenzo Milani, è un modo diverso per definire il principio di solidarietà che è il cardine dell’Europa dei 27.
Questa citazione della presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen nel suo discorso allo “Stato dell’Unione” del 6 maggio, traccia il nuovo percorso, un vero cambio di passo della Comunità Europea che riprende il cammino dopo la grave crisi pandemica che ha travolto il vecchio continente.
Nel maggio 2021 si registrano diversi importanti eventi: il Social Summit del 7 maggio ospitato a Porto dalla presidenza portoghese del Consiglio dell’Unione Europea, con l’obiettivo generale di definire l’agenda della politica sociale europea per il prossimo decennio, garantendo di affrontare le sfide del presente e del futuro “senza lasciare indietro nessuno”, il vertice informale dei Capi di Stato e di governo dei 27 Paesi per discutere di questioni sociali, tra cui quelle connesse alla pandemia di Covid-19 il giorno 8 maggio e l’inaugurazione della “Conferenza sul futuro dell’Europa”, proprio il 9 maggio, che celebra la “Giornata Europea” nel ricordo della Dichiarazione del primo ministro francese Robert Schuman, a Parigi nel 1950.
In aprile è stata avviata una piattaforma digitale, nelle 24 lingue ufficiali dell’Unione, che offre a ciascuno la possibilità di iscriversi e prendere parte con le proprie proposte alla Conferenza e ai dibattiti dei rappresentanti delle istituzioni comunitarie, dei Paesi aderenti e dei cittadini cosi da fornire orientamenti sul futuro dell’Unione.
Nella considerazione che proprio la stessa UE dovrebbe andare incontro alle esigenze dei cittadini che oggi, più che mai, chiedono salute, lavoro, scuola, sicurezza sociale, sostegno alle fragilità. In questo senso l’Ue può rivelarsi un adeguato livello di governance, riacquistando credibilità agli occhi degli europei.
L’Unione europea prova, ancora una volta, a cambiare marcia. La tragedia pandemica rappresenta, tutt’ora, un segnale d’allarme e impone profonde revisioni – non solo al vecchio continente ma al mondo intero – su diversi piani: sanitario, economico, sociale, ecologico, politico-istituzionale. Il Covid-19 ha confermato che “nessuno si salva da solo” e che i nazionalismi (a partire dai “nazionalismi vaccinali”) sono semplicemente fuori tempo massimo e per nulla produttivi per il bene comune.
Nel rilanciare il motto di Don Milani e nel voler dare concretezza al suo messaggio, si recupera lo spirito e la volontà ricostruttiva pacificatrice dei Padri Fondatori, che a conclusione della seconda guerra mondiale hanno sognato un’Europa unita e solidale, a servizio dell’integrazione comunitaria nell’ottica di un’efficace inclusione sociale.
Nei 12 mesi scorsi, quando si è compreso che la pandemia non avrebbe risparmiato nessuno, si è progressivamente imposta una nuova convinzione: cercare risposte condivise al comune problema sanitario, che nel frattempo stava generando una profonda crisi economica, occupazionale e sociale e tali emergenze hanno trovato risposta nel Next Generation Eu, nel piano da 750 miliardi per fronteggiare la pandemia e i suoi effetti, dando avvio alla “nuova fase” dell’integrazione europea.
L’Italia sarà tra i Paesi potenzialmente più beneficiati da queste nuove politiche, con l’obbligo di sfruttare l’opportunità storica di un cambio di passo sempre rifiutato nei decenni passati.
Ritornano al cuore dell’agenda politica il primato del diritto alla salute e la centralità del lavoro, come pure la sostenibilità ambientale e uno sviluppo tecnologico a misura d’uomo, ma anche ampliamento della ricerca e dell’istruzione utilizzando i nuovi alfabeti tecnologici e digitali.