Da Nord a Sud la mafia dei rifiuti non cambia

Ciò che accade in un piccolo Comune della Sicilia non è affatto diverso da quanto succede nei paesi della Lombardia. La mafia dei rifiuti opera in tandem con aziende colluse e funzionari pubblici corrotti. E quando c’è qualcuno che ostacola i progetti sono dolori. Smaltimento, stoccaggio e riciclaggio di rifiuti sono un pozzo senza fondo in cui la criminalità organizzata ha messo le mani. Ed è sempre più difficile strapparle il predominio a vantaggio degli imprenditori onesti.

Palermo – Sicilia, Comune di Roccamena, al confine tra tre province: Palermo, Trapani e Agrigento. Mille493 abitanti nel 2017. Vicino al più tristemente noto comune di Corleone, patria di Riina e Provenzano, che ha ispirato anche la cinematografia mondiale con una serie di pellicole famose.

Roccamena

E al comune di San Cipirello, patria del pentito Brusca, e Castelvetrano, territorio incontrastato del numero uno dei latitanti Matteo Messina Denaro. E alla diga Garcia, oggi intitolata a Mario Francese, il giornalista d’inchieste sulla mafia morto ammazzato nel 1979.

A Roccamena sembra tutto tranquillo, il tempo è immobile, la vita scorre lenta e senza particolari emozioni. Di conflitti nessuna traccia nei volti delle persone. Eppure la sua storia è come un film dell’orrore, in cui tutto è tranquillo prima che scoppi la tragedia. La mafia qui è radicata in profondità: sembra dimostrarlo l’atteggiamento della maggior parte dei cittadini, indifferenti e schivi.

Altri ostentano falsa legalità perché sono sempre saliti sul carro dei vincitori e tengono le mani in pasta. Sono coloro i quali hanno vanificato ogni minaccia al proprio potere, inglobando a volte anche i pochi che contestavano. Questo comune è il crocevia delle indagini dei delitti di mafia più importanti in Sicilia.

Le foibe della mafia a Roccamena

Nel 2016 sono state scoperte una serie di caverne scavate nella roccia, le foibe della mafia, che contenevano scheletri e resti umani di una ventina di persone, tra cui due bambini. Si trattava di uomini e donne scomparsi per lupara bianca ma anche individui uccisi per faide di mafia. Delitti trasversali per intimorire boss e sodali. E non solo. Un cimitero lontano da occhi indiscreti dove le vittime erano state nascoste in fosse blindate dalla natura, inaccessibili.

La storia del terzo millennio a Roccamena inizia con un commissariamento nel 2006. Negli anni successivi la magistratura siciliana denunciava e condannava diverse aziende che operavano nell’indotto dello smaltimento e dello stoccaggio, oltre che del riciclaggio, dei rifiuti già interdette per mafia e responsabili di decine di altri reati.

Fra queste c’era la Co.ge.si Srl di San Giuseppe Jato. Bancarotta fraudolenta, tesori in paradisi fiscali, noleggio aerei ed elicotteri, collezioni di Rolex, macchine ultra lusso, tutti benefit di cui godevano impunemente titolari e dipendenti dell’azienda che gestiva i rifiuti in diversi comuni del palermitano grazie alle complicità di certi dipendenti pubblici, poi arrestati.

La mafia gestisce il lucroso settore dei rifiuti

La Sicilia dei rifiuti urbani e speciali rappresenta un pozzo senza fondo. Un giro d’affari “sporchi” da centinaia di milioni di euro spesso gestito sulla logica dell’emergenza che copriva e copre ogni illegittimità. Ed è proprio la logica dell’emergenza che fa la differenza. Politicamente serve per dimostrare ai cittadini che gli amministratori di turno sanno governare e che per l’interesse della collettività si danno da fare in fretta pur di togliere l’immondizia da sotto casa.

Dunque tutti sanno tutto. E mentre i prefetti mettevano mano alle interdittive i tribunali amministrativi le annullavano. Come dire la legge si contrasta da sé. Stessa cosa sarebbe avvenuta per la F. Mirto Srl, interdetta per mafia. Il Tar annullava ma il Consiglio di Giustizia amministrativa confermava e stavolta le cose si mettevano male per l’azienda in odore di criminalità organizzata, poi costretta a togliere le mani dal congruo affare che si accingeva a strappare agli imprenditori onesti.

Tutto questo però è possibile quando le aziende colluse sono bene ammanigliate dentro i palazzi. La complicità dei funzionari, spesso, è scontata. Male che vada se ne escono con un’accusa per abuso d’ufficio ma la mazzetta, ormai, è messa al sicuro. Qualche volta però l’oleato meccanismo s’inceppa. Cosi è stato a Roccamena dopo la fortunata nomina a ingegnere capo dell’ufficio tecnico di uno zelante e onesto funzionario che conosce il suo mestiere.

La logica dell’emergenza

Salvatore Fiorentino, infatti, conosce a menadito sia i regolamenti comunali, sia il diritto amministrativo oltre alle leggi che normano gli appalti pubblici. E qui la cosa si complica perché il funzionario si accorge di tante cose che non vanno in quelle ditte che “debbono” partecipare alle gare. Gran parte di queste puzzano di mafia lontano un miglio e un ingegnere capo che parla di rispetto dei bilanci, di risorse disponibili e di legalità a tutto tondo, non va bene.

Anzi va proprio male e sarebbe meglio dargli il benservito atteso che il professionista osava anche opporsi alle pressioni della Co.ge.si Srl, poi duramente colpita da pesanti provvedimenti giudiziari e per forza di cose uscita di scena. Ma non basta. L’acredine contro il funzionario che non ha paura dei mafiosi deve essere espressa pubblicamente. Forse per evidenziarne l’efficacia.

Pare che nel 2015, durante un comizio dell’onorevole Antonino Cracolici, detto Antonello, all’epoca assessore regionale all’Agricoltura con il governo Crocetta, il sindaco di Roccamena, Tommaso Ciaccio, avrebbe ricevuto l’invito ad avviare prima un procedimento disciplinare e poi il licenziamento del bravo funzionario sembra proprio per bocca dello stesso assessore.

Il municipio di Roccamena

Forse infastidito dall’ardire di un sottoposto che non si faceva gli affari propri ficcando il naso laddove non avrebbe dovuto. Ovvero rifiutandosi di esaminare, secondo Cracolici, sei pratiche edilizie su richiesta del sindaco di Roccamena. L’ingegnere capo, invece, avrebbe avviato la procedura di garanzia a tutela dei cittadini informando gli stessi dell’avvio dell’iter amministrativo, per come impone la legge. Ma c’è di più. Ci vuole il conflitto diretto per togliersi di dosso quel peso divenuto ormai insostenibile e che manda all’aria tutti gli affari di parenti, amici e conoscenti.

L’occasione propizia l’avrebbe cercata lo stesso primo cittadino il quale, durante un’ennesima diatriba con l’ingegnere capo Fiorentino, si sarebbe innervosito a tal punto da fare intervenire un carabiniere presente all’animata discussione:”…Tu non sei nessuno”, avrebbe proferito Ciaccio nei riguardi del militare, chiaramente imbufalito dall’intervento del pubblico ufficiale nella tenzone che forse si metteva male.

Giuseppe Palmeri, primo cittadino del paese siciliano

In questo clima di palese intimidazione si arrivava alle nuove elezioni del 2019 e la casa comunale cambiava inquilino. Almeno apparentemente. Nuovo sindaco diventava Giuseppe Palmeri, già in forza a Fratelli d’Italia poi eletto con una lista civica, mentre l’ex sindaco mai domo Tommaso Ciaccio, già in forza al Pd e poi eletto in una lista civica, veniva chiamato a presiedere il Consiglio comunale.

Ma che cos’è uno scherzo? No. E’ l’immagine speculare di ciò che accade a Roma dove la Lega governa con i Democratici, dunque perché meravigliarsi? Nel frattempo il neo primo cittadino richiamava in seno al suo ufficio l’ingegnere Fiorentino che, alla fine, pare l’abbia spuntata.

Del resto già nel 2016 il senatore Mario Michele Giarrusso, all’epoca militante nelle file dei grillini, aveva fatto richiesta alla Commissione Antimafia nazionale di ascoltare l’ingegnere Fiorentino, l’ex sindaco Ciaccio e l’ex comandate della stazione dei carabinieri di Roccamena, poi trasferito, per riferire anche sull’operato di un chiacchierato centro Sprar (Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati), pare gestito dalla moglie del sottufficiale comandante, e su una presunta parentopoli nelle assunzioni della struttura pubblica.

Il senatore Mario Michele Giarrusso

Vicende che, come tante altre, fanno parte di montagne di carta bollata alle quali, tempi della giustizia permettendo, sarà dato esito. Dire Roccamena in provincia di Palermo è come dire Mortara in provincia di Pavia. E’ tanto per fare un esempio ma ormai metodi e strategie sono comuni tanto al Nord quanto al Sud. Anzi proprio nel Settentrione d’Italia la mafia dei rifiuti sta dando il meglio di sé. Le cronache degli ultimi mesi e le attività di contrasto delle istituzioni antimafia ne sono la riprova. Qualora qualcuno avesse ancora dei dubbi.

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