Con i funghi mi faccio giacca e pantaloni

Da un estremo all’altro quando si parla di tutela dell’ambiente. Da frutta, ortaggi ed erbe si possono ricavare fibre per il settore tessile e sembra che questa tipologia di filati non abbia nulla da invidiare a quelli tradizionali. L’inquinamento, ovviamente, si riduce ai minimi termini e se venissimo rosi dai morsi della fame basterà addentare una giacca confezionata con tessuti di banana per farcela passare.

Roma – Fino a qualche anno fa ce ne siamo fregati dell’ambiente ed i risultati sono sotto gli occhi di tutti. Ora pare che sia diventato il refrain principale insieme a quello della sostenibilità. L’argomento si è talmente diffuso che è diventato un punto di forza anche in quei settori che più hanno contribuito a danneggiarlo. Ci riferiamo all’industria della moda.

Una volta si diceva “l’abito non fa il monaco” e da un po’ non fa nemmeno il tessuto. Le materie prime da utilizzare si sono evolute in maniera tale che le fibre tessili sono state sostituite da materiali naturali ed insoliti. Tanto che il sarto sembra essersi trasformato in gastronomo.

E’ vero che per cucire un vestito bisogna saperlo cucinare su chi lo indossa, ma è sempre stato un modo di dire, un artificio intellettuale. Adesso si va dall’ortolano per comprare un certo quantitativo di funghi, perché porcini e champignon sono risultati idonei per ottenere una pelle da utilizzare per capi molto simili a quelli di una volta.

Il motto MycoWorks: “Tornando alle nostre radici per l’eleganza e la sostenibilità nella moda”.

MycoWorks, azienda americana specializzata in biomateriali, ha effettuato uno studio da cui emerge la svolta per così dire “vegana” del settore. La pelle dei funghi è estratta dal micelio, ovvero l’apparato vegetativo di questi organismi. Lavorandolo in certo modo pare sia possibile ottenere un risultato finale molto simile alla pelle di vitello, assai considerata fra la clientela.

Questo materiale all’apparenza così bizzarro, secondo i dati diffusi, potrebbe rivoluzionare l’industria della moda, sposando completamente il concetto di sostenibilità ambientale. Oltre alla parte esteriore del tessuto molto simile all’originale, anche quando lo si tocca con mano, si avverte la stessa sensazione. Non è l’unica alternativa utilizzabile.

Si può, ad esempio, pensare all’ortica come sostituto della seta. All’inizio si resta basiti pensando al suo naturale pizzicore ed all’effetto che potrebbe produrre su un capo da indossare. Ebbene non si può utilizzare solo in cucina, ma anche per la realizzazione di un tessuto non meno lucente della seta. Questa fibra naturale è sempre più apprezzata nel settore, anche perché per farla crescere non c’è bisogno dell’utilizzo di pesticidi e di fertilizzanti. Più naturale di così.

Nel prosieguo della visita all’ortolano, non può mancare la banana: dal frullato all’abbigliamento il passaggio è presto fatto. Dagli scarti delle sue colture si possono ottenere vestiti che non hanno nulla da invidiare a quelli tradizionali. Col fusto del banano si possono ricavare le fibre idonee a garantire tessuti di ottima qualità e molto resistenti. Sembrerebbe che la parte esterna della fibra si combacia alla perfezione per la produzione di tovaglie.

Piantagione di banani

E non è finita qui perché il nostro ortolano di fiducia ci consiglia di utilizzare le alghe per la preparazione del nostro pranzo. Molte aziende, infatti, le stanno adoperando con ottimi risultati per calzini e abbigliamento intimo. La fibra appare molto resistente, anche rispetto ad altre considerate sensibili e che vanno per la maggiore, come seta satin o pizzo. Quindi il lavaggio in lavatrice non costituisce alcun problema.

La MycoWorks, l’azienda direttamente interessata alla produzione delle fibre, ha ovviamente diffuso grandi speranze perché l’assenza di pesticidi e fertilizzante seduce non poco il consumatore. Se si farà del bene all’ambiente, lo verificheremo coi fatti. Al momento ne prendiamo atto, tenendo presente che per una malaugurata carenza di alimenti, potremmo sempre mangiare i nostri vestiti. Buon appetito.  

Facebook
Twitter
LinkedIn
WhatsApp
Email
Stampa