Uno straordinario patrimonio culturale considerato minore ma che rappresenta, di contro, un aspetto importante della nostra tradizione popolare.
Bologna – …E’ il titolo di un libriccino di Anna Busacchi, editore Cappelli. Un viaggio sui giochi infantili della tradizione contadina, tramandata oralmente. Una cultura materialmente “povera” che riutilizzava gli scarti non solo per i giocattoli, ma nella quotidianità. L’autrice ha raccolto le “storie e le cose” raccontate da Armando Borelli che gira per le piazze dell’appennino tosco-emiliano per esporre al pubblico i suoi “pezzi” ricostruiti, i zuglen, nello slang montanaro. Trattasi di giochi dei bimbi dei contadini, che si costruivano da soli con materiale di risulta. Barattoli, rocchetti, schioppetti. Un sapere antico, minore, forse, ma non meno significativo delle nostre tradizioni popolari. Un patrimonio di conoscenze che rischia di perdersi.
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Il Comune di Bologna ha accolto un progetto per creare all’interno delle mura di Villa Aldrovandi Mazzocorati (un edificio storico in stile neoclassico situato nella prima periferia della città, alla fine del XVIII secolo) una documentazione storica sul giocattolo della tradizione popolare. All’interno di questo edificio oltre ad alcuni ambulatori del servizio sanitario regionale, c’è un teatro in scala ridotta ed il Museo Storico del Soldatino “Mario Massacesi” con più di 12000 esemplari in vari materiali costruiti dal 1800 ad oggi. I giocattoli di cui si parla sono quelli della classe sociale meno abbiente in un’epoca che va dal 1920 al 1950 ed in un’area delimitata: il bolognese. L’interesse è rivolto, soprattutto, a quegli oggetti che si azionavano sfruttando principi fisici, con materiali di scarto. All’apparente povertà dei mezzi, faceva riscontro una feconda inventiva, davvero straordinaria. Eccone una rapida carrellata:
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Il cerchio. Un gioco universale ed antichissimo. Quello in legno era riservato ai “figli dei signori”. I “figli dei…pezzenti” utilizzavano, invece, materiale di risulta. Ad esempio il cerchio che sosteneva le calderine di rame oppure il vecchio cerchione di biciclette fuori uso. I rocchetti. Piccoli cilindri in legno, con bordi rialzati per trattenere il filo del cotone di cui sono avvolti. Nelle campagne diventavano: trottole, biciclette, trattori. Il filobus. Così definito per via del lungo filo collegato ad un’asta, su una base in legno con ruote. Motoscafo o battello.
Un gioco con cui i bambini si sono cimentati con l’acqua, costruendone con pezzi di legno compensato, un seghetto e qualche elastico. Carri e carriole. La costruzione di questi esemplari richiedeva abilità che erano riservate ai ragazzi più grandi. In questo caso l’uso era un misto di gioco e lavoro. Era, infatti, utile per trasportare fascine e/o piccole merci. Il mondo degli adulti, nella civiltà contadina, non era poi così separato da quello dell’infanzia e dell’adolescenza. Poteva esser un modo per imparare a lavorare. Ma, soprattutto, un aggeggio idoneo per essere trascinato sui sentieri in salita, per poi ridiscendere con veloci corse.
Carri di città. Qui i ragazzi, dopo la guerra, potevano accedere a scarti preziosi: i cuscinetti a sfera. Un materiale di risulta tecnologicamente più ricco. Bastavano 4 cuscinetti a sfera, assi o pezzi interi di legno e chiodi per l’assemblaggio. Le ruote venivano sostituite dai cuscinetti e scompare la forcella. Ottenendo un mezzo basso, adatto a corse spericolate in pendenza. Esistevano poi delle varianti: con o senza sterzo, con o senza schienali, uno o più posti ed altre.
Sono soltanto alcuni esempi di come i giochi hanno sempre rappresentato un aspetto importante nell’acquisizione di quei fondamenti per diventare adulti, sia nel mondo animale che umano.
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