Che fine ha fatto il Dna di Ignoto 1?

L’inchiesta riguarda il presidente della Prima sezione penale del tribunale di Bergamo e la funzionaria responsabile dell’Ufficio corpi di reato della Procura orobica che dovranno rispondere di frode in processo e depistaggio, Dai primi riscontri investigativi sembra che non ci sia dolo sul comportamento dei due indagati. Dal carcere Bossetti reitera la sua innocenza.

Venezia – Un storia giudiziaria infinita quella sulla morte di Yara Gambirasio, la tredicenne di Brembate di Sopra, in provincia di Bergamo, scomparsa il 26 novembre del 2010 e ritrovata cadavere il 26 febbraio 2011. Settimane addietro sono stati iscritti sul registro degli indagati della Procura di Venezia, competente per territorio, gli investigatori bergamaschi le cui indagini hanno portato al processo e alla condanna definitiva all’ergastolo Massimo Bossetti. Il cui Dna nucleare era risultato sovrapponibile a quello dell’uomo definito “Ignoto 1″, repertato sugli indumenti intimi della vittima nelle parti colpite da un’arma da taglio e ritenuto dalla pubblica accusa riconducibile all’assassino.

Al centro Massimo Bossetti

La Procura veneta a 12 anni dalla morte della povera atleta, indaga su queste tracce di Dna che, in buona sostanza, hanno poi decretato la condanna del muratore di Mapello al fine pena mai. L’inchiesta origina proprio da una denuncia del detenuto, dichiaratosi da sempre innocente, e che avrebbe portato i magistrati veneti ad inquisire il presidente della Prima sezione penale del tribunale di Bergamo Giovanni Petillo e Laura Epis, funzionaria responsabile dell’Ufficio corpi di reato della locale Procura:

”…Quei campioni di Dna, che rappresentano il fulcro dell’intero processo, a noi non sono mai stati fatti vedere né tanto meno analizzare – ripete l’avvocato Claudio Salvagni che con il collega Paolo Camporini hanno difeso Massimo Bossetti – siamo stati autorizzati ad esaminare tutti i reperti dell’indagine solo nel novembre del 2019, a procedimento ormai concluso, dato che la Corte di Cassazione aveva confermato la condanna nell’ottobre del 2018. Da allora però sono state dichiarate inammissibili prima la nostra richiesta di analizzare i campioni e poi quella di conoscerne lo stato di conservazione…”.

L’avvocato Claudio Salvagni

Subito dopo la denuncia di Bossetti e dei suoi legali che, da sempre, hanno contestato la validità di quelle tracce di Dna. Ma c’è di più:

“…Quando nel 2019 siamo stati autorizzati a esaminare i reperti – aggiunge Salvagni – nell’autorizzazione si parlava anche di perfetta conservazione dei campioni di Dna. In realtà non abbiamo mai ricevuto risposte chiare dal tribunale di Bergamo neppure in merito al luogo dove si trovassero quei campioni. C’erano però rumors secondo i quali sarebbero stati spostati…”.

Uno spostamento che, sempre secondo la difesa di Bossetti, avrebbe potuto cagionare danni al materiale biologico che deve essere conservato a temperature stabilite e in ambienti adeguati e vigilati:

Che fine ha fatto la prova regina?

”…È chiaro che se i campioni che erano conservati nei frigoriferi dell’ospedale San Raffaele fossero poi stati trasferiti ai magazzini dell’Ufficio corpi di reato del tribunale di Bergamo a una temperatura non adeguata, ci sarebbero delle responsabilità – continua Salvagni – di fatto la traccia decisiva da cui fu estratto il profilo di Ignoto 1 non sarebbe più utilizzabile perché mal conservata. E qualcuno dovrebbe spiegare com’è successo e perché…”.

Il fascicolo dell’inchiesta sarebbe stata affidata al procuratore aggiunto Adelchi D’Ippolito che avrebbe fatto notificare ai due indagati un avviso di proroga dell’indagine per frode in processo e depistaggio. Da indiscrezioni il magistrato inquirente avrebbe ascoltato, nella qualità di testi, l’allora Pm Letizia Ruggeri oltre ad alcuni carabinieri del Ris. All’epoca dei fatti aspre polemiche erano scoppiate fra accusa e difesa proprio per quel Dna considerato “prova principe” in tutta l’inchiesta e che i difensori dell’allora imputato avrebbero voluto riesaminare vedendosi però respinte tutte le richieste in tal senso.

Yara Gambirasio

I reperti, ovvero i 54 campioni di materiale biologico, dopo la definitiva sentenza di condanna, sarebbero stati confiscati. Del resto anche durante il dibattimento detto materiale non sarebbe stato utilizzabile per successive verifiche perché definitivamente esaurito. La notizia aveva fatto scalpore ma il processo era continuato sino alla fine e nei tre gradi di giudizio Massimo Bossetti era risultato colpevole della morte di Yara Gambirasio.

Sin dalla condanna in primo grado l’opinione pubblica si era divisa in due: una cospicua parte avrebbe messo la mano sul fuoco nel ritenere Bossetti innocente mentre di diverso avviso sarebbero stati tutti gli altri. Dall’inchiesta dei magistrati veneti non sarebbe emerso alcun comportamento doloso in capo ai due indagati.

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