Sono finite da poco le politiche ed ecco che si profilano all’orizzonte le regionali. I partiti, al solito, affilano le armi e riscaldano i motori ma nessuno si aspetta novità di rilievo. Né in Lombardia, men che meno nel Lazio. Il Paese pensa a ben altro che tornare alle urne. I problemi sono tanti e tali che occorrono risultati subito.
Roma – Di nuovo in moto l’infernale macchine elettorale. E’ iniziata infatti la fase di riscaldamento per le votazioni del 2023 che riguardano le regionali del Lazio e della Lombardia e le amministrative di Catania. Tutti i partiti sono in fibrillazione, la scelta del candidato presidente e sindaco è importante, onde evitare di agevolare l’avversario. Così le diverse coalizioni si scrutano a vicenda, evitando di predisporre marmellate che finirebbero per ammuffire subito qualora non si risvegliasse l’entusiasmo dei cittadini, ormai stanchi delle solite manfrine, dei sorrisini del passato e dell’eterno presente. Il caos regna sovrano e le paure di ammucchiate senza anima ancora di più. Una bolgia a cui ormai siamo tristemente abituati.
A Milano tutto sembra più lineare, infatti lo scontro sarà concentrato tra la figura dell’uscente Attilio Fontana e Letizia Moratti, anche se Pd e 5s cercano di insinuarsi, distintamente, in una campagna elettorale che sembra destinata a soccombere ulteriormente sempre a causa dei soliti distinguo e pregiudizi. Nel Lazio il centrosinistra con le proprie diverse componenti continua a navigare in mare aperto. Fino ad ora sembra che da quelle parti, tra potenziali alleati, non alligna la parola fiducia, unità nei programmi e d’intenti, poiché cosi facendo si rievocherebbero i fantasmi del passato che fanno ancora paura. In queste condizioni a perdere il Lazio può essere soltanto il centrodestra.
Gli ultimi sondaggi sono, peraltro, abbastanza chiari anche se fluttuanti. E i dati hanno fatto saltare dalla sedia molti dirigenti locali del Pd, che sono in “allarme rosso”. La disfatta delle politiche potrebbe ripetersi e sarebbero dolori. Tant’é che i numeri rimarcano diversi ostacoli, forse insuperabili, per democratici e sinistre in genere: infatti FdI viene data al 32,6%, il M5s al 16,7%, il Pd al 15,8%, il Terzo polo al 7%, Fi al 5,8%, la Lega al 5,5%, Verdi+Sinistra 4,2%, +Europa 2,5% ed altri al 9,9%. La candidatura di Fabio Rampelli, nume meloniano, potrebbe arrivare al 46,6%, abbondantemente sopra il 26,4% di Alessio D’Amato, sostenuto da Pd e Terzo polo, seguito dall’ignoto pentastellato al 17,8%, mentre un esponente sostenuto da Verdi, Si ed Ecologisti arriverebbe al 9,2%.
Ovviamente indecisi e non votanti raggiungono 1/3 fra gli intervistati. A favore dell’assessore alla Sanità D’Amato si è già pronunciato favorevolmente, con i democratici, Calenda. I grillini, robusti nella regione, non vogliono saperne del Pd, almeno sino ad oggi. La rimanente sinistra vorrebbe andarsene per conto proprio. Dunque il “campo largo” sarebbe meno di un’ipotesi per le fratture finora emerse, che vedono i pentastellati procedere per conto proprio, nonostante siedano ancora per l’ordinaria amministrazione nell’attuale giunta regionale. Mentre la sinistra pura non digerisce il Terzo polo di Calenda e Renzi. Spetta adesso al centrodestra proporre una designazione che sia lontana dalle fallimentari scelte operate nel recente passato a Roma.
Anche a Catania si intravedono spiragli di candidature nell’area del centrosinistra, sull’onda della altalenante candidatura di Salvo Pogliese, divenuto da poco senatore. Quelle che stanno sbocciando sembrano soltanto rievocazioni nostalgiche, che non possiedono quel “plus” di speranza e novità che dovrebbero animare le coscienze dei catanesi, oppressi da un degrado ambientale ed igienico-sanitario divenuto endemico. Il centrodestra sembra, invece, ancora imbalsamato e comunque silente. Non trapela nulla di concreto e affidabile. Come al solito, in questi casi.